mercoledì 8 ottobre 2014

DANIELA MONACI



“... E tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni...” 

Con i versi di Alda Merini, Daniela Monaci intitola la mostra inaugurata il 3 ottobre alla galleria “La nube di Oort” di Roma.

L'artista espone le sue suggestive “fotopitture”. Un viaggio nel sogno, un'evocazione di infinite realtà che si aprono davanti ai nostri occhi.


Dal 3 al 27 ottobre 2014
La nube di Oort
Via Principe Eugenio 60


C'è poesia nei suoi scatti che come quadri si presentano davanti ai nostri occhi incuriositi. Volti dormienti sognano paesaggi onirici, infiniti, sconfinati. Palpebre socchiuse custodiscono una realtà parallela. Bianco e nero. Dicono che i sogni non hanno colore, ma spesso al risveglio ricordiamo un piccolo particolare che stranamente ha un colore ben definito. Forse per questo gli alberi sono gli unici soggetti colorati che emergono dal fondo, sovrapposti ad un'immagine leggermente sfocata, evanescente.
Quella di un volto, il volto di colui o meglio di colei che interpreta il sognatore. L'albero, la vita. C'è una realtà pulsante racchiusa dentro ognuno di noi che si manifesta nel nostro inconscio. Daniela Monaci descrive questo mondo, lo evoca dagli abissi del nostro "io" interiore, lo interpreta. E per farlo raccoglie spunti, emozioni. La narrazione avviene attraverso la composizione di dittici e trittici. “Fotopitture” come le chiama l'artista. Immagini in sequenza che conferiscono un senso d'insieme. La poesia ci conduce lungo il percorso, citazioni di Szymborska e della grande Alda Merini. La galleria “La nube di OOrt”, al centro di Roma nel quartiere Esquilino, fa da cornice a questa piccola esposizione. Poche fotografie, ma si percepisce il lavoro a monte, frutto di un progetto ben concepito, di un'idea ricorrente che caratterizza tutto il lavoro dell'artista. Incontriamo Daniela Monaci e le chiediamo un'intervista.

D: Ho notato che le fotografie stampate su questo supporto di legno assomigliano più a dei quadri che a delle semplici fotografie.
R: E' perfetto, perché io non le chiamo fotografie. Io non mi sento una fotografa, non mi riconosco nel ruolo. Se dovessi fare un vero servizio fotografico non so come mi verrebbe. Per me la fotografia è un po' come lo schizzo per l'artista. Poi ricompongo tutto con il computer. Alle volte intervenendo anche con la matita, l'areografo, ecc. Perciò le chiamo “fotopitture”. Perché nascono, sono costruite come una volta costruivano le pitture Ma con un linguaggio che per me è contemporaneo, che io amo. Perché pur apparendo come materiale fotografico sembrano reali anche se non lo sono. Non sono per nulla reali quindi ti mandano quello spiazzamento poetico che è proprio quello che cerco di fare. Se fossero puramente fotografie parlerebbero della realtà. Invece qui c'è proprio un lavoro di costruzione di tipo pittorico sia dal punto di vista compositivo, sia con un gioco di luci.

D: Attraverso questo tipologia di linguaggio espressivo lei intende interpretare la sua idea di sogno?
R: Non so se proprio posso dire idea di sogno. Mi affascina il volto che dorme, l'occhio chiuso. Dietro questo volto sento che c'è un mondo. Un mondo tanto reale quanto quello esterno. Un riferimento a Shakespeare, alla Tempesta, forse ancora di più, al Macbeth. (“siamo fatti della stessa materia dei sogni”. n.d.r.). E quindi dietro quest'occhio chiuso mi piaceva avvertire la presenza di questo spazio. E lo si vede anche nel volto ritratto nella fotografia. Ho cercato di lavorare con questi trittici, con queste composizioni. Non è un lavoro descrittivo, è un'evocazione, un'evocazione di spazi che si possono aprire davanti a noi.
D: Si tratti quindi di immagini senza una dimensione precisa, senza delimitazione di spazi né fisici, né temporali. Parliamo invece del soggetto ritratto.
R: Sono due, in questo caso. In realtà avevo in mente un lavoro molto grande. Avevo incominciato anche a raccogliere i sogni delle persone per addentrarmi in questo universo. Ho raccolto più di cento sogni. Volevo ritrarre tante persone. Poi però la realtà mi ha portato a cambiare idea. Allora un'amica si è offerta per prestare il suo volto. Ho visto che funzionava molto bene. Poi si è offerta un'altra amica. In questi due  volti è evocato già tutto.

D: Nella galleria c'è anche una piccola struttura leggera con sopra dei minuscoli alberi?
R: Partendo da quelle immagini che hanno i volti con gli alberi sovrapposi ho intitolato la mostra con questi versi di Alda Merini:“E tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni”. E allora mi è venuta voglia di far mettere una piccola installazione con queste radici lunghe, questi alberi. Giocare su questa leggerezza. Anche perché l'elemento della leggerezza di uno spazio interiore, profondo ma leggero è quello su cui io lavoro da sempre, ed è proprio quello che cerco.

D: In conclusione, mi può dire qual è il suo sogno?
R: Il mio sogno? Bé, c'è ne è uno ricorrente che c'entra sempre con gli alberi. Ritrovo una casa che una volta è stata mia. Rientro in questa casa, la riconosco però non è più mia, in qualche modo. Apro delle porte e si formano nuove stanze. Una porta si apre e appare un'altra stanza. Un'altra porta ancora, forse l'ultima, non so, e compaiono questi alberi a comporre una meravigliosa foresta. E questo è uno dei sogni da cui sono partita.

Nessun commento:

Posta un commento