fotografia

Scenari suggestivi e fotografia digitale. 

Luca Campigotto protagonista a Roma con due mostre tematiche

(testo Rosa Orsini)
Luca Campigotto è protagonista a Roma con due mostre personali, diverse nei soggetti e nella tematica ma simili nella realizzazione digitale.
Proprio al termine delle celebrazioni per il millenario di Augusto, Palazzo Poli, sede dell'Istituto Nazionale per la Grafica,  ospita fino al 23 maggio una mostra curata da Flaminio Gualdoni intitolata “L'impero per immagini”. Una selezione di 20 fotografie estratte da un corpus di 140 scatti raccolti in un volume redatto da FMR, che porta lo stesso titolo della mostra e che costituisce l'avvio alla collana Europa. Il libro si apre con una bellissima prefazione di Louis Godar, direttore della collana e Consigliere per la conservazione del patrimonio artistico del Presidente della Repubblica Italiana. Il fascino e la suggestione della città eterna rivivono nelle sale interne del palazzo. Gigantografie fotografiche testimoniano la bellezza sempiterna delle vestigia romane, catturando le atmosfere delle rovine antiche. La notte contribuisce a conferire alle immagini una nota spettacolare, grazie soprattutto all'effetto scenico delle illuminazioni artificiali. Emergono prospettive inedite che accedendo l'attenzione sui dettagli. L'interno della cupola del pantheon, i fusti delle colonne dei templi, gli archi, le strade e gli acquedotti appaiono maestosi davanti ai nostri occhi meravigliati. La monumentalità e la grandiosità dei volumi caratterizzano le fotografie esposte: immagini iconiche dalle tonalità argentee, cromatismi appena percettibili ma capaci di rievocare la fiamma eterna di una città che preserva e custodisce la memoria storica di un passato glorioso. Un connubio perfetto tra bellezza e potenza.
Altra mostra, altra location. La galleria del Cembalo di palazzo Borghese  accoglie fino alla fine di giugno la personale Wildlands and cityscapes, dove agli scenari naturali, aridi e deserti della Marmolada, del Carso, nonché quelli esotici dell'isola di Pasqua e della Patagonia, dove la contemplazione raggiunge un'intensità quasi catartica, si affiancano contesti profondamente urbanizzati, come le metropoli americane, Boston, New York Chicago, che assumono un aspetto fumettistico grazie all'uso di colori vivaci apposti su sfondi dalle sfumature tenui.
Un viaggio sentimentale e visionario, che cavalca i secoli, percorre spazi sconfinati. Questa è la grafia di Luca Campigotto, carica di una sensibilità e una fascinazione che lo contraddistingue nel mondo del linguaggio fotografico e da cui scaturiscono straordinarie immagini evocative, lasciate all’interpretazione di chi guarda, che rimangono imprigionate nella nostra memoria.

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EX - POST Francesco Pergolesi, Marco Maria Zanin

Mostra fotografica

5 marzo- 4 aprile 2015
Riccardo Costantini Contemporany 
 Via della Rocca 6/b
10123- Torino
(testo Rosa Orsini)


La mostra si presenta come un dialogo espressivo, fatto di immagini e accurati parallelismi, tra due personalità artistiche diverse nello stile e nella scelta dei soggetti, simili nel proporre una visione d'insieme, uniche comunque nel loro genere. Francesco Pergolesi e Marco Maria Zanin, entrambi veneziani, sono due giovani artisti, due fotografi di grande talento che hanno deciso di presentare congiuntamente alla Riccardo Costantini Contemporany di Torino i loro bellissimi lavori, in esposizione fino al prossimo 4 aprile 2015.
Francesco Pergolesi, nato a Venezia 1975, vive e lavora tra Roma e Barcellona. Lo abbiamo conosciuto alla galleria Vittoria di Roma lo scorso dicembre, dove ha presentato un progetto site- specific intitolato Heroes Margutta. Il suo lavoro di indagine fotografica si focalizza sul mondo degli antichi mestieri, sulle botteghe artigianali ormai in via di estinzione a cui conferisce quella patina magica ed evanescente che cattura e suggestiona; una ruota caleidoscopica di immagini dove lo sfondo si confonde, in un ballo turbinoso e colorato, con i personaggi soggetto della scena, ponendoli in una dimensione sospesa, quasi metafisica. Un progetto che propone in minima parte in questa mostra insieme ad altri lavori realizzati in giro per il mondo anch'essi rappresentativi della ricerca sugli antichi mestieri.
Marco Maria Zanin, nato a Padova nel 1983 dove vive e lavora, è un nome a noi nuovo ma non per questo meno degno di annotazione. Il suo approccio fotografico alla realtà veneta ci regala atmosfere suggestive che oscillano tra sogno e realtà, evocano tempi lontani di cui ora percepiamo il riverbero dei suoi ultimi bagliori; un' eco di antiche vestigia su paesaggi desolati e sconfinati avvolti nella nebbia.
Due modi diversi quindi di osservare la realtà, di coglierla nei suoi aspetti più profondi, umani, genuini, dove anche il paesaggio assume un'identità specifica. Nel conferire ad essa un ruolo di primo piano, ponendola in una dimensione senza tempo, sospesa tra passato e presente. “ragionano insieme sul senso dell’ “ex”, con l’unico intento di ridonare dignità e luce a questi luoghi nel post”. E lungo questo sentiero ci conducono nel loro mondo regalandoci infinite emozioni.


Wilder Mann fotografie di Charles Fréger

La Galleria del Cembalo espone fino al 28 marzo il bellissimo lavoro di Charles Fréger intitolato "Wilder Mann"

Concentrandosi sul tema del travestimento, il ritrattista francese esplora riti e tradizioni del vecchio continente




Galleria del Cembalo
dal 6 febbraio al 28 marzo 2015
Piazza di Fontanella Borghese 1 Roma


(testo Rosa Orsini)
In ogni luogo e in ogni tempo l'uomo ha abbandonato nel corso di cerimonie e riti pagani modi e costumi civili per adottare bizzarri camuffamenti. Se da noi gli abiti carnevaleschi sono scelti al fine di sorridere e beffeggiarsi della realtà che ci circonda, esistono luoghi remoti in cui l'uomo si ritrova calato al centro di un universo cosmogonico e panteistico che preserva miti e tradizioni ancestrali, atti ad esorcizzare paure e riportare alla luce un rapporto sopito e ambiguo con la natura.
Attraverso una ricerca antropologica che lo ha portato a percorrere in lungo e in largo le regioni interne dei paesi europei, dove le tradizioni ancestrali sopravvivono alla globalizzazione, Charles Fréger, fotografo e ritrattista francese, testimonia con i suoi scatti il perdurante susseguirsi delle tradizioni nel corso dei secoli fino a giungere ai giorni nostri. Primitivi culti pagani, agresti, dove il rapporto tra uomo e natura si trasforma in qualcosa di più profondo fino a consumarsi in un processo di identificazione.
La mostra esposta alla Galleria del Cembalo di Roma fino al 28 marzo 2015 propone una lunga serie di ritratti incentrati sul costume e sul travestimento dove l'uomo selvaggio, il wilder mann, è protagonista assoluto. Secondo la leggenda il Wilder mann è il frutto dell'unione tra un orso e una donna. Ecco quindi che l'uomo si riveste di connotazioni animalesche, abbandona i tratti e le movenze umane per vestire i panni del mito.
Maschere zoomorfe, grottesche e inquietanti, personificano il diavolo appropriandosi dei simboli che lo identificano. Ricorrono temi e soggetti. Pelli d'orso, uomini impagliati, corna gigantesche sulla testa, una sequenza di selvagge creature, metà uomo metà bestie. Personificazioni della natura ma soprattutto figure simboliche, evocatori di miti e riti antichi che ogni anno vengono celebrati all'interno dei paesi europei. L'eterna contrapposizione tra il bene e il male viene identificata attraverso l'uso di maschere e travestimenti assunti per evocare la paura dei demoni e di ciò che l'uomo primitivo teme e cerca di esorcizzare.
Le foto affascinano perché rivelano tradizioni a noi molto lontane se non addirittura sconosciute. Settanta foto a colori centrate sul soggetto in posa scattate in tutta Europa sullo sfondo bianco e nevoso dei paesi del nord, oppure tra i verdi e aridi paesaggi della penisola iberica.
Fréger continua la sua ricerca cavalcando il tema dell'abito e del costume, anche se i suoi lavori si incentrano principalmente sul mondo delle uniformi perseguendo il fine di testimoniare gli aggregati sociali e culturali e descrivere il modo in cui si identificano. In questo caso esplora una dimensione diversa, quella del travestimento laddove gli abiti rivestono un ruolo di primissimo piano assumendo connotazioni simboliche. Un lavoro che persegue nel tempo, un work in progress che si realizza nella ricerca infinita di una realtà in cui l'uomo affonda le sue radici.
La mostra è documentata da un libro edito da Peliti Associati “Wilder Mann- O la figura del selvaggio” che raccoglie, accanto alle fotografie esposte nella galleria, tanti altri ritratti non presenti alla mostra. Mario Peliti, editore e organizzatore della galleria, aperta in collaborazione con Paola Stacchini Cavazza, ci racconta come è nata la scelta di questo importante lavoro inaugurato lo scorso 5 febbraio.

Domanda: Da cosa è dovuta la scelta di proporre Charles Frèger?
Peliti: Semplicemente perché lo conoscevo già. Lo avevo già esposto in un festival che avevamo organizzato in Abruzzo dove avevamo presentato una serie che raffigurava dei lottatori di sumo. Inoltre come editore avevo già pubblicato due anni fa un libro dedicato alle divise dei reggimenti di rappresentanza. Il libro era intitolato Empire nella versione inglese mentre quella italiana si chiamava Vis Voluntatis. Questa è' una mostra che ha girato e sta girando molto nel mondo. Si pensi che Fréger è rappresentato da grandi galleristi. E quindi lo abbiamo preso anche noi.
Domanda: Queste foto sono di ultima realizzazione?
Peliti: Non tutte. Calcoli che Fréger sta ancora proseguendo questo progetto. All'interno della galleria ci sono dei lavori che sono esposti per la prima volta ma anche cose che erano già state pubblicate nel libro di cui le ho parlato. Ad esempio Fréger ha fatto recentemente dei ritratti in Puglia su dei travestimenti che qui non ci sono, mentre sono esposte delle cose sarde che erano già state inserite nel libro. Si tratta sempre e comunque di un work in progress.
Domanda: Il tema del travestimento è il tema centrale del suo lavoro?
Peliti: Diciamo che il tema principale dei suoi lavori è quello dell'uniforme. In questo caso alla base del suo lavoro c'è il travestimento che in qualche modo è comunque ascrivibile alla riconoscibilità di un gruppo. Se si pensa alla squadra di calcio l'uniforme è identificativa di un gruppo. Seguendo questo filo narrativo Fréger ha fotografato squadre di calcio, balletti e così via. E' un autore molto interessante per la sua determinazione e il suo il rigore, un rigore fotografico straordinario a cui si aggiunge una forte capacità di crescita. Se confronta i lavori vecchi con i nuovi non può non accorgersi che c'è sempre un processo di evoluzione in corso anche se gli elementi e la struttura rimangono gli stessi. Questo è ciò che lo rende assolutamente interessante.
Domanda: Qual 'è il fine concettuale del suo lavoro?
Peliti: E' un lavoro che ha una forte componente di documentazione, ma non parlerei con questo di fine concettuale. E' indubbio che da questo tipo di lavoro emerge la riscoperta di un mondo che stiamo perdendo. Nella loro connotazione ancestrale si riscopre comunque parte della nostra storia e della nostra civiltà. In un mondo in cui tutto è omologato ci si rende conto che nonostante ci siano elementi comuni, ogni gruppo mantiene e preserva la sua identità animale e il suo rapporto con la natura.

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“Facce da blogger” mostra fotografica di Elena Datrino



E così anche i blogger ci hanno messo la faccia e lo hanno fatto in occasione di Alta Roma Alta Moda




dal 30 gennaio al 15 febbraio 2015
Galleria Vittoria, Via Margutta, 103 Roma

(testo Rosa Orsini)
Un incontro combinato da Tiziano Todi, giovane gallerista romano. “Un'occasione da cogliere al volo” pensai quando mi propose questo progetto ideato con la fotografa Elena Datrino, che ha dissolto la cortina di riservatezza che mi caratterizza.
Perché noi blogger, ma non tutti, diciamo la maggioranza, preferiamo esprimerci e non apparire, come solitamente avviene sulla rete mettendo in piazza anche i momenti privati. Noi blogger siamo più discreti, postiamo i nostri lavori creativi tramite i quali vogliamo essere conosciuti. Perciò, pur sapendo che dovevo “metterci la faccia”, mi sono prestata a questo progetto soprattutto per l'amicizia con Tiziano e la simpatia ispiratami dalla fotografa.
Cosicché anche il mio ritratto è presente accanto a quello di altri giovani bloggers alla mostra inaugurata il 30 gennaio alla galleria Vittoria di Roma. Una carrellata di volti, in posa all'interno di set fotografici oppure lungo le vie della città, ognuno con un carattere unico e distintivo. Immagini patinate, nitide, dai colori decisi, affiancate da una breve didascalia che introduce al blog.
“Facce da blogger” raccoglie i profili di trenta bloggers. C'è chi si occupa di cucina, chi di viaggi, molti di moda, alcuni come me di arte contemporanea oppure di letteratura. C'è chi racconta la sua esperienza di mamma e chi con dignità la propria malattia. Tante facce, tante personalità diverse, tante vite che si rivelano attraverso queste bellissime immagini, o meglio raccontano il blog che li rappresenta.
Un lavoro unico e originale che indaga il mondo di coloro che a torto o ragione nell'era digitale si stanno affermando come i nuovi portavoce dell'informazione su web. Una nuova forma di comunicazione che ha preso piede da diversi anni scavalcando i canali istituzionali che per poter sopravvivere si sono dovuti adeguare al cambiamento. Un mezzo espressivo moderno, uno spazio virtuale ma non per questo meno incisivo e attendibile che si occupa di argomenti di vario tipo. Il blogger racchiude tante cose insieme cercando di ritrovare in un ruolo una professione che più si confà al suo talento.
L'idea di raggruppare in un unico corpo una serie di ritratti ha impegnato Elena per un intero anno in giro per l'Italia. Oggi viene presentato in occasione della settimana di Alta Roma Alta moda alla Galleria Vittoria dove rimarrà esposto fino al 15 febbraio.
Elena nonostante la giovane età vanta alle spalle numerose collaborazioni con famosi fotografi e lavori con importanti aziende come Alessi, Moschino, Gucci, Mondadori e Rizzoli Edizioni. Nel suo studio di Milano, che ha aperto dopo essersi diplomata in fotografia allo IED di Milano, realizza i suoi set fotografici, ma il suo lavoro spazia in vari campi che vanno dall'arte al design, dalla moda al ritratto.
Per Elena la fotografia ha un potere magico, quello di “scavare nell'intimità delle persone rivelandone aspetti privati... e attraverso lo speciale rapporto che si crea tra il fotografo e chi viene ritratto in un particolare momento si può raggiungere uno scambio spirituale... La magia inizia quando la persona accetta di posare”
Una vocazione e una fascinazione per la fotografia e quello che rappresenta, e il fattore dominate che l'ha portata ad interagire con le persone cercando di evocare quella magia, suscitare un effetto empatico producendo un amalgama di esperienze umane e formative sia per chi fotografa sia per chi accetta di essere fotografato. Ecco perché queste immagini sono tutt'altro che superficiali o accattivanti. Rivelano l'anima e la passione unitamente alla personalità di chi vuole farsi ritrarre partecipando ad un gioco di ruoli in cui impersona il proprio blog.
La natura del progetto è stata nobilitata dalla collaborazione con Europa Donna Italia alla quale verrà devoluto il 10% del ricavato dalle vendite. Nata nel ’94 da un’idea del professor Umberto Veronesi, Europa Donna Italia è il movimento che rappresenta i diritti delle donne nella prevenzione del tumore al seno all'interno delle Istituzioni pubbliche Nazionali ed Internazionali.
Tiziano Todi ed Elena Datrino sono quindi pervenuti alla realizzazione di un progetto di richiamo mediatico che coinvolge vari aspetti di divulgazione e comunicazione, non escludendo un servizio sociale, e forse avrà modo di essere riproposta anche in altre sedi e città. Si pensa probabilmente a Milano. Ma aspettiamo la conferma.

 
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Francesco Pergolesi presenta il suo nuovo lavoro "Heroes - Margutta" alla galleria Vittoria a Roma


Heroes- Margutta
dal 18 dicembre 2014 al 2 gennaio 2015
Galleria Vittoria, via Margutta 103 Roma

Una via deserta e silenziosa, un uomo vestito di nero, senza età, senza tempo, misterioso come il nome che porta, e 12 fiammelle accese nella notte lungo l'acciottolato della strada. Magia, illusione e uno straordinario effetto scenografico sono le componenti fantasmagoriche di una gigantografia appesa alle pareti della galleria Vittoria a Roma. La “via delle stelle” introduce il tema di questo bellissimo lavoro realizzato dal giovane fotografo Francesco Pergolesi: “Heroes, Margutta”. La mostra, nata da un'idea dell'artista fotografo e curata da Sabine Oberti è stata inaugurata il 18 dicembre 2014 e rimarrà in programmazione fino al prossimo 2 gennaio 2015 alla galleria Vittoria gestita dalla famiglia Todi da ben tre generazioni. Pergolesi porta a Roma una collezione site-specific del progetto Heroes, pensata appositamente per via Margutta e composta da una serie di “ritratti ambientati” intorno al tema dei mestieri e delle piccole attività artigianali in via d'estinzione. Un progetto nato circa tre anni fa che lo ha portato in giro per il mondo alla ricerca di soggetti espressivi e rappresentativi.
12 scatti fotografici formato cartolina protetti da un vetro museo, disposi in fila sopra un tavolo imbandito, poco visibili ad occhio nudo se non attraverso la luce di una piccola torcia e una lente di ingrandimento per coglierne il più piccolo particolare. Pergolesi ritrae gli artigiani e i galleristi storici di una delle vie più famose della città, cuore pulsante della Roma intellettuale e crocevia di artisti di fama internazionale. Il suo lavoro ruota intorno a loro, alla loro vita passata tra le mura delle piccole botteghe artigianali, accende i riflettori sui quei mestieri antichi tramandati di generazione in generazione che rischiano di scomparire fagocitati dalla globalizzazione economica.
Sono loro i sopravvissuti all'era tecnologica e consumistica. Piccoli negozi che vivono del quotidiano, che custodiscono e tramandano i segreti del mestiere, che mantengono quella genuina umanità nei rapporti col pubblico. Sono loro le 12 stelle che assurgono allo spazio siderale a completare il sentiero del firmamento. Questi personaggi e la loro storia raccontata dalle bellissime immagini fotografiche sono gli astri nascenti di una costellazione in cui Pergolesi colloca i suoi eroi.
Foto d'autore, accurate, selezionate e rielaborate dalla personale visione di questo giovane artista che ha trasformato singolari ritratti in piccoli capolavori, concependoli come preziose e minuziose miniature. Tele pittoriche in cui i piani tridimensionali si incrociano per confondersi ed amalgamarsi, dove le tonalità cromatiche si sovrappongono fino a formare un insieme scomposto dai lontani richiami cubisti e dadaisti. Un caleidoscopio di immagini magiche, suggestive, cinematografiche ci introducono in un mondo curioso e fantastico.
Un gioco fatto di immagini a fuoco e contorni sfumati, permeati da oggetti da cui emergono i volti e le fattezze dei nostri protagonisti. Il surrealismo raffinato associato all'effetto del chiaro scuro determinano una visione finale d'insieme in cui tutti gli elementi compositivi partecipano alla narrazione fotografica.
Inseriti in questa dimensione fantastica, decontestualizzata nel tempo e nello spazio, in un'astratta scomposizione di elementi visivi, i soggetti subiscono un processo di rielaborazione concettuale ed estetica. Un gioco di ruoli dove reinterpretano personaggi che hanno vissuto la strada romana in un recente passato. Il fotografo ritaglia porzioni di un mondo sospeso, silenzioso, avvolto da atmosfere rarefatte e oniriche.
Un lavoro di ricerca nel quale Pergolesi si è ispirato a Fellini, a Guttuso, raccogliendo gli insegnamenti dei maestri del passato. E infine come non ricordare Collodi che ha saputo rappresentare lo stupore dei bambini laddove la magia sembra accendere i più piccoli desideri. Pergolesi ha la capacità di ravvivare quella magia, riprodurre lo stupore di quegli occhi spalancati e sbalorditi, come dei bambini davanti all'entrata del paese dei balocchi.


BASILICO BERENGO GARDIN

BOSSAGLIA CHIARAMONTE CRESCI GHIRRI GUIDI JEMOLO KOCH

Fotografie di Roma dal 1986 al 2006 

 

 

 

 

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BORN INVISIBLE di Sheila McKinnon

Il mondo degli invisibili.

La fotografa canadese  espone al Museo di Roma in Trastevere 50 fotografie e un interessante video in cui  denuncia il problema dell'eguaglianza di genere nei paesi del terzo mondo

MUSEO DI ROMA IN TRASTEVERE
fino al 29 settembre 2014


di Rosa Orsini

Vietnam - Blue girl
Fino al 29 settembre al Museo di Roma in Trastevere è possibile vedere un'interessantissima mostra fotografica realizzata da Sheila McKinnon, fotografa canadese ma naturalizzata in Italia, che pone l'attenzione sull'uguaglianza di genere.
Un problema che attanaglia il mondo contemporaneo senza esclusione di campo. L'obiettivo fissa la sua lente indagatrice sulle giovani donne appartenenti ai paesi del terzo mondo. Sono fotografie dove il colore acceso e la splendore dei volti emerge con forza dirompente, mettendo in primo piano la bellezza dell'innocenza sulla miseria, sulla noncuranza e sull'imperante mancanza di istruzione che negano fin dall'infanzia la prospettiva di una vita dignitosa. Una bellezza che bisognerebbe preservare nel tempo attraverso una politica che insegni alla società il rispetto della donna, concedendole il diritto all'istruzione, pietra basilare per poter ottenere un futuro migliore e scongiurare definitivamente il problema della tratta umana. Questa pratica purtroppo è ancora in uso nei paesi in cui la povertà abissale annienta ogni dignità umana, imprigionandola in una ragnatela di condizionamenti culturali e di tradizioni ancestrali difficili da sradicare.  C'è in atto una grande trasformazione sia nei paesi del terzo del mondo sia nei paesi occidentali, afferma Sheila McKinnon, la quale attraverso le sue immagini apre una finestra su paesi lontani, arretrati, su una realtà di cui a volte ci sentiamo responsabili perché siamo incapaci di migliorarla. La mostra presenta 50 fotografie in formato gigante ed un video esplicativo in lingua inglese. Le immagini sono di forte impatto visivo ed emotivo. La tecnica usata caratterizzata principalmente da immagini incorniciate, segmentate, soggetti ripetuti, sovrapposti, è il frutto di una decisione ben ponderata. Spesso la fotografa utilizza quadrati e rettangoli nella composizione della foto: un modo per sottolineare, separare o proteggere la figura dall'interno. Qualche volta si tratta di immagini composte da diversi scatti della stessa persona dentro un’unica inquadratura. In altre la foto originale è appoggiata su formati più grande della stessa immagine per dare un senso di espansione e di ingrandimento della scena. A volte invece i colori sono invertiti, sbiaditi o cancellati: il nero diventa bianco, il bianco diventa nero, il blu diventa oro e viceversa. In questo modo la fotografa intende indicare che l’esteriore è variabile, non è dato fisso, e in tutti casi, è di minore importanza. “Un viso con la pelle schiarita significa per me che sto fotografando il cuore, i desideri, il mondo dei sogni e le intenzioni. Tutti fattori che bisogna riconoscere”.
Sierra Leone - Red Umbrella
La varietà della tecnica usata nella stampa delle immagini è di grande importanza per sottolineare il messaggio che la fotografa ci vuole comunicare: “il tempo sequenziale non esiste o non conta, conta invece l'emozione.” Con le sue immagini Sheila McKinnon ha cercato di rendere visibili le trasformazioni, i cambiamenti e le sfumature delle emozioni dell'anima.
Per tale motivo ha fotografato i soggetti nel bel mezzo dell’azione o durante una breve pausa nel corso della loro vita quotidiana, riuscendo a comunicare attraverso un dialogo non verbale, stimolato da una grande curiosità reciproca.
La mostra è raccontata in un libro edito dalla Gangemi Editore. Un prodotto di cui la fotografa va fiera, soddisfatta del lavoro editoriale e della stampa fotografica, realizzata dalla Graphicolor di Roma che ha saputo eseguire a pieno l'idea d'insieme del progetto fotografico.
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LAST FOLIO

L'ultimo lavoro del fotografo slovacco Yury Doic


dal 23 gennaio al 31 marzo 2014
Ermanno Tedeschi Gallery
Roma,  Via del Portico D'Ottavia n. 7


(testo Rosa Orsini)
Fino al 31 marzo 2014 è possibile ammirare nelle sale interne della Ermanno Tedeschi Gallery al Portico D'Ottavia in Roma la mostra “Last Folio” del fotografo slovacco Jury Dojc. Dopo aver fatto tappa alla Cambridge University, al Museum of Jewish Heritage di New York, alla Commissione Europea di Bruxelles e a Košice (Capitale europea della cultura 2013), la mostra approda a Roma in occasione delle celebrazioni del giorno della memoria.
Last Folio” è un progetto nato nel lontano 1997 quando in occasione del funerale del padre, Dojc ebbe modo di conoscere un superstite della Shoah. Un incontro che fece scattare il lui il desiderio di ritornare nel suo paese d'origine, lui che dal 1969 si era trasferito in Canada, per ripercorrere i luoghi dove i suoi genitori erano vissuti, la casa di famiglia, le strade, la gente e scoprire la verità sulle persecuzioni antisemitiche che avevano devastato la Slovacchia decimando in maniera consistente la fiorente e numerosa popolazione ebraica stanziata prima della fine della seconda guerra mondiale.
Una corsa contro il tempo nel tentativo di recuperare la memoria storica del popolo slovacco con cui Dojc sente di avere un forte legame di appartenenza. “Last folio” è quindi un processo di ricerca e ricostruzione di un puzzle che mette insieme frammenti di vita spezzati. Un video ci illustra i momenti salienti di questo viaggio che nasce con la morte del padre e termina con il ritrovamento casuale di un vecchio libro appartenuto al nonno in un oratorio abbandonato. Una scoperta dettata dal caso o il fine ultimo e segreto di un viaggio voluto dal destino? Certo è che il fatto ha dell'incredibile.
Dojc ripercorre le sue radici, raccoglie testimonianze, ascolta i racconti drammatici dei superstiti. Indaga sul passato di un popolo un tempo fiorente, decimato dalle persecuzioni razziali promosse dal governo fantoccio di Tiso che con la sua crudele ambizione, sostenuta dal governo nazista, incitava i cattolici slovacchi ad intraprendere una sanguinosa irragionevole guerra religiosa. E nel corso di questo processo di ricerca Dojc osserva e fotografa, consegnandoci suggestive testimonianze visive.
Le immagini creano un effetto che oscilla tra presente e passato dove l'evanescenza confonde con le ombre un gioco confuso di inquietanti presenze. Con i suoi scatti Dojc tenta di tenere viva la memoria. Sono gli oggetti a testimoniare il passato, non soltanto libri, ma anche i luoghi reputati al culto e alla memoria. Sono loro i veri superstiti dell'olocausto.
Dietro le fotografie esposte alla Ermanno Tedeschi Gallery si racconta un episodio drammatico. Una serie di scatti immortalano ciò che rimane di una piccola scuola di Bardejov, in Slovacchia, dove il tempo si è fermato all'anno 1942. Quell'infausto giorno gli studenti vennero impietosamente catturati e deportati nei campi di concentramento. Quell'ennesimo tragico episodio di persecuzione razziale lasciò vuoto e desolazione in questo piccolo tempio della cultura, spazzò via, come una ventata gelida e malefica, la vita che anelava quotidianamente nelle aule chiassose, gli scherzi camerateschi nei corridoi, il vociare tra i banchi. Da allora tutto è rimasto immobile come un fermo immagine. Cosicché non rimangono che vecchi libri impolverati, calcinacci, mura screpolate a testimoniare silenziosamente il passaggio dei rastrellamenti. Troneggia la polvere stratificata sulle pagine rose dei libri, dei registri, sui quaderni segnati degli alunni abbandonati frettolosamente sui banchi di scuola.

Jury Doic fotografa la desolazione, l'abbandono, l'usura del tempo che sgretola, consuma, distrugge. Primo piani di libri consunti ritrovati negli angoli abbandonati, in piccoli armadi dove l'acciaio corroso e il legno tarlato deforma l'arredo interno della scuola. La sua attenzione si ferma sui dettagli che diventano protagonisti assoluti dell'immagine in una gioco di luci che esalta il colore dei pigmenti sul foglio di carta. Ma nonostante gli oggetti siano consumati dal tempo e il retroscena drammatico, le fotografie ci appaiono intrise di un'irresistibile forza vitale, sono spettacolari, prendono vita come una fiamma attizzata da un improvviso soffio di vento. Ed è proprio una fiamma che riscalda e non distrugge quella che si identifica nelle pagine aperte di un libro immortalato dallo scatto del fotografo.
Altre immagini, altre impressioni. Il dorso nudo di un volume ricorda la corteccia viva di un albero a simboleggiare l'esistenza a monte di una natura generatrice rispetto alla presenza silenziosa degli oggetti inanimati. Sono molte le chiavi di lettura per comprendere appieno questo bellissimo lavoro oltre alle quali ci piace pensare che Dojc voglia soprattutto recuperare ciò che rimane e riaffiora tra le macerie della cultura del popolo ebreo in Slovacchia.
Ritroviamo quindi accanto alle immagini dei libri gli oggetti sacri dei rituali religiosi come i Tefilin ammucchiati confusamente, e un primo piano della Torah, la sacra pergamena della preghiera del sabato. Infine a completare l'allestimento della mostra una bellissima foto della sinagoga di Košice (la seconda città più importante della Slovacchia) domina una parete di fondo della galleria.
Nel tentativo di distruggere la cultura di un popolo anche i templi hanno visto abbattersi sulle loro pareti di pietra la scure del nemico. Košice è l'esempio emblematico di questa crudeltà. L'architettura di un popolo che attraverso i suoi simboli, i suoi codici, il suo linguaggio fatto di pietre, incisioni, di linee curve e archi a tutto sesto, e che Victor Hugo definisce essere il vero libro dell'umanità, è dagli albori della civiltà il mezzo deputato a custodire il pensiero di un popolo prima ancora che i letterati lo riversassero nelle pagine di pesanti volumi. Distruggere i suoi edifici equivale a colpire coloro che rappresenta. Il filo conduttore della mostra sembra dipanarsi davanti ai nostri occhi ma tutto lascia spazio ad una personale interpretazione che nulla toglie alla bellezza delle immagini e al talento di questo grande fotografo.

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giovedì 18 aprile 2013

HELMUT NEWTON A ROMA

White Women, Sleepless Nights, Big Nudes

6 marzo – 21 luglio 2013

Palazzo delle Esposizioni

   

(testo Rosa Orsini)
Il genio di Helmut Newton è celebrato a Roma a Palazzo delle Esposizioni con una monografica in cui vengono esposte circa 200 fotografie estratte dalle tre grandi antologiche che lo hanno consacrato il più grande fashion designer del ventesimo secolo. Dopo il successo della personale dedicata al fotografo francese Robert Doisneau, l'importante location romana ospita un altro protagonista internazionale dell'arte fotografica.
La mostra ha luogo al secondo piano del palazzo, ma non ci è permesso salire il grande scalone monumentale in quanto è in corso la preparazione di un nuovo allestimento. Pertanto giungiamo al secondo piano con l'ascensore. E subito veniamo colti dalla sensualità dirompente delle modelle immortalate dallo scatto indiscreto di Newton. Le pareti della loggia che si affaccia sul salone centrale sono ricoperte da gigantografie in bianco e nero dove il nudo femminile è protagonista assoluto. Curioso l'accostamento tra uguali soggetti in versione moda e nudo, dove la location pur essendo identica, (davanti ad un'auto, una scalinata, su un divano oppure in un piccolo giardino) vede la modella ora vestita di tutto punto e nell'altro ritratta nell'identica posa ma completamente svestita.
Procediamo il tour. Le foto estratte dai tre importanti volumi antologici pubblicati su carta, White Women, Sleepless Nights e Big Nudes, sono esposte su pareti dai colori fucsia e azzurro turchese. Un accostamento cromatico efficace che accende il bianco e nero delle fotografie esaltando la profondità dell'immagine. Modelle dalle forme perfette si prestano a dar vita alle fantasie proibite del fotografo, proiettate in ambienti intimi spesso raffinati, come Villa d'Este, Parigi, Manhattan. Sequenze immortalate durante l'arco della vita professionale del fotografo, molte delle quali pubblicate dalle più importanti riviste internazionali di moda come Vogue e Vanity Fair. Altre appartengono all'archivio personale del fotografo oggi di proprietà della Helmut Newton Fundation di Berlino che ha contribuito all'organizzazione dell'esposizione.
Il primo impatto è un po' forte, immediato. Seminudità e trasparenze si alternano a soggetti completamente denudati, che esprimono un erotismo a volte raffinato a volte morboso. Ma non dimentichiamo che fu proprio Newton ad introdurre il nudo nella dimensione della moda. Osservando le fotografie è naturale domandarsi se si tratta di un'apoteosi della bellezza del corpo femminile, di un'esaltazione che purtroppo riduce la donna a puro oggetto espositivo, un involucro senz'anima né pensiero. Non per nulla in alcuni set fotografici Newton le accosta a dei manichini perfettamente truccati e vestiti, degli involucri di plastica dalle sembianze umane e dalle perfette proporzioni che confondono l'occhio dell'osservatore.
Newton oltrepassa la misura portando la sua arte al limite della provocazione rispetto ai parametri stabiliti dal pubblico pudore. A mio giudizio anche un po' troppo. Svuota la donna di quel naturale riserbo che la rende misteriosa e irraggiungibile agli occhi del mondo.
Ma Newton ama decisamente provocare e lo dimostra pienamente, senza riserve. Via libera quindi a scene saffiche, triangoli erotici o addirittura crimini inscenati in cui la bellezza della donna sopraffà la vittima agonizzante. Nudità, trasparenze, in alcuni set fa addirittura indossare alle sue modelle piccole protesi che ricoprono arti feriti o convalescenti. Ma Newton è un artista. Tramite la fotografia si esprime l'ideazione della scena immortalata, di un pensiero decisamente a monte che concepisce lo spazio, lo crea e lo ritaglia, inscrivendo come in un cerchio il centro dell'attenzione su cui l'occhio ricade sopraffatto dalla forza espressiva del soggetto. Non sono certo scene rubate alla quotidianità o in ritagli di tempo, per sfuggire alla noia, ma frutto di una grande professionalità.
Il talento del fotografo centra il soggetto che emerge dallo sfondo con la sua esuberante sensualità. L'erotismo estremo risulta sempre raffinato, forse perché la bellezza non è mai volgare quando si esprime come concetto. Il corpo parla con il suo linguaggio, di sé e del suo essere al di là del pensiero e delle parole. Alcuni nudi rimandano alle pose ritratte nei quadri di Dalì. Parafrasando e confutando il titolo del film “sotto il vestito niente”, possiamo dire che in questo caso il corpo ha più valore ed espressività del vestito che indossa.



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Robert Doisneau: Paris en liberté



(testo Rosa Orsini)
Una carriera costruita nel tempo, attraverso centinaia di scatti che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.  Oggi le sue fotografie sono considerate opere artistiche, e trovano spazio in importanti collezioni antologiche, conservate nei prestigiosi musei internazionali. Robert Doisneau è considerato uno dei più grandi fotografi francesi. E fu proprio la sua amata Parigi a decretarne il successo.  In occasione del centenario della sua nascita è stata allestita una suggestiva retrospettiva che raccoglie più di 200 fotografie, scattate da Doisneau tra il 1934 e il 1991, che sottolineano il profondo legame dell’artista con la sua città. Dopo  essere stata presentata a Parigi presso l’Hotel de Ville ,in Giappone al Mitsukoshy di Tokyo e all’Isetan di Kyoto,  approda finalmente Roma  al Palazzo delle Esposizioni, dove sarà possibile ammirarla fino al 3 febbraio 2013.

La mostra celebra Il grande legame che unisce Parigi a Doisneau attraverso un lungo viaggio virtuale fatto di immagini rubate alla quotidianità. Scatti in bianco e nero, che conferiscono quella  patina antica di vissuto ma nello stesso tempo producono un effetto di indissolubile realtà. Il colore è bandito. i soggetti emergono nitidi, distaccandosi dai contorni sfocati. Prendono vita, diventando protagonisti di quegli attimi fuggenti. Doisneau fotografa Parigi e la sua gente.  Scorci di vita vissuta, sguardi catturati nei quartieri popolari, nei mercatini, nelle piazze, nel metro. Donne imbellettate, giovani e anziani ritratti nelle loro solite occupazioni, o a passeggio  lungo i boulevards, bambini che giocano, musicisti di strada che usano la loro arte con merce di scambio. Cattura lo sguardo duro della portiera sorpresa dallo scatto fotografico, immortala  l’uomo davanti alla bancarella dei libri sul lungosenna, partecipa ai balli scatenati di giovani scanzonati, sorprende  le donne sorridenti, sedute al bistrot. Anche gli animali sono soggetti graditi all’artista. Piccoli uccelli in gabbia, cani al guinzaglio che scodinzolano al padrone,  e i gatti  immortalati sui tetti che, come guardiani solitari e attenti, sorvegliano nella notte le acque della Senna. E i baci. Quanti baci  ha immortalato Doisneau con il suo obiettivo. Momenti teneri e appassionati, immagini intime tra innamorati felici di ritrovarsi nelle vie della città, o abbracciati sulle panchine, incuranti degli sguardi curiosi dei passanti.

Parigi ci appare pervasa da quella dolce malinconia che rimanda ai film di Jean Gabin e Jean Paul Belmondo, dalle atmosfere ovattate e silenziose. Romantiche come romantica è Parigi nel nostro immaginario, accompagnata dai dolci  versi della “vie en rose”. Nulla sfugga all’occhio attento del fotografo che suggella momenti di vita apparentemente banali ma di grande effetto visivo, come veloci pennellate energiche sulla tela, o teneri versi che in poche righe comunicano una grande emozione. Emerge una Parigi triste e silenziosa, dove anche le grida degli ambulanti  e dei bambini sono assopite. Ma seppur le fotografie  assorbono e attutiscono il  suono delle loro urla gioiose, le immagini rimandano inalterate allo spettatore le emozioni della gente, facendoci sognare.








Mario Giacomelli.
Fotografie dall’Archivio
di Luigi Crocenzi 
Dal 12/09/2012 - 20/01/2013 al Museo di Roma in Trastevere




Nelle sale espositive del museo di Roma in Trastevere è in corso dal 12 settembre un’interessante retrospettiva dedicata a Mario Giacomelli considerato il più grande fotografo italiano del novecento, scomparso nel 2000 a Senigallia, sua città natale. La mostra curata da Walter Liva si compone di 90 immagini fotografiche in bianco e nero e di una selezione di reperti d’autore tra documenti e lettere provenienti dalla collezione Luigi Crocenzi. L’archivio, acquisito nel 1995 dal CRAF (Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia) comprende lettere, libri e fotografie raccolti nel corso degli anni da Luigi Crocenzi. Questi, legato al fotografo da un profondo rapporto di amicizia, ebbe modo di raccogliere importanti documenti fotografici tra i quali un corpus contenente oltre 250 vintages realizzati da Mario Giacomelli dagli anni ’50 alla fine degli anni ’70. Una collezione che ha acquisito nel tempo un enorme valore storico. La loro amicizia si trasferì anche in campo professionale dando vita ad una fervida collaborazione artistica che si riversò soprattutto nella stesura della sceneggiatura di Un uomo una donna un amore nel 1961 e di quella di A Silvia nel 1963.


Oggi nel chiostro dei carmelitani, sede del museo di Trastevere, è possibile ammirare parte di questa importante collezione grazie al progetto di recupero e documentazione storica da parte dei curatori di quei personaggi che sono strettamente legati alla città di Roma. Un progetto che prevede la presentazione di una serie di esposizioni temporanee e convegni tematici. Il museo si propone come luogo di incontro dove è possibile attingere ad una ricca raccolta di documenti storici e contemporanei, con un’attenzione particolare al cinema e alla fotografia.

Nella prima parte della mostra vengono presentate una serie di fotografie realizzate negli anni ’50: Prime fotografie, Nudi, Mare, i Paesaggi Puglia, Gente dei campi, Lourdes (1957) e Scanno. Per poi proseguire lungo il corso degli anni attingendo alla sua lunga produzione artistica. Mattatoio (1961), Io non ho mani che mi accarezzino il viso (1962-63), A Silvia (1964), La buona terra (1964-65), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Motivo suggerito dal taglio dell’albero (1967-69), Caroline Branson (la serie realizzata tra il 1971 e il 1973), fino a Studenti (del 1977) . Immagini con un forte impatto emotivo, spunto di riflessione e di profonda analisi sociale, frutto di un nuovo corso artistico dell’arte fotografica che nasce dall’approccio sensibile e attento del geniale fotografo marchigiano. L’arte fotografica di Giacomelli infatti non ha precedenti, sfugge ad ogni scuola o definizione. Le immagini sottolineano l’aspetto emotivo della realtà trasformando l’arte visiva della fotografia in un nuovo linguaggio simbolico, attraverso la realizzazione di un espressionismo fotografico che esaspera l’aspetto emotivo. Giacomelli ribaltò completamente anche il punto di vista del neorealismo introducendo nelle immagini una nuova poesia tonale ed onirica e realizzando racconti fotografici con ritratti e paesaggi, soggetti prediletti dall’artista. La sua arte ebbe ampi riconoscimenti tanto che nel 1963 il curatore del Moma di New York acquisì per il museo la serie Scammo, inserendo una fotografia nel prestigioso catalogo Looking at Photographs. La mostra si concluderà il 20 gennaio 2013.



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