mercoledì 4 dicembre 2013

"Daughters of the King". Mostra fotografica di Federica Valabrega


Le “figlie di Dio” di Federica Valabrega. 

 

Un viaggio nel mondo delle comunità ortodosse per riscoprire la spiritualità delle donne ebraiche


Grande affluenza di pubblico all'inaugurazione della mostra fotografica “Daughters of the King” di Federica Valabrega che si è tenuta martedì 26 novembre alla Ermanno Tedeschi Gallery di Roma. La famosa galleria d'arte romana ci sorprende ancora una volta per la scelta degli artisti proposti, sempre interessanti ed attuali.
Federica Valabrega è una giovane fotografa italiana che vive e lavora a New York, dove ha maturato una discreta esperienza nel campo del fotogiornalismo. “Daughters of the king” è la sua prima mostra, e ha scelto Roma, sua città natale, per presentare al pubblico le sue fotografie. Un evento importante che si affianca alla presentazione dell'omonimo libro che raccoglie al suo interno questo splendido lavoro.
Filo conduttore della mostra è la donna ebraica. Una serie di ritratti di donne colte mentre pregano, parlano tra loro, passeggiano per le strade. Un percorso esplorativo nelle varie comunità ebraiche per riscoprire il mondo femminile che si muove al loro interno e comprendere come viene vissuta ogni p singola spiritualità. Mondi diversi si affacciano davanti ai nostri occhi, con usi e costumi che racchiudono un messaggio di profonda appartenenza al gruppo ma dove la religiosità spesso viene espressa al di là dei canoni tradizionali imposti. Emergono profonde differenze dal modo in cui queste donne imprimono la loro vita di quella genuina spiritualità che dà loro forza e coraggio per affrontare le difficoltà quotidiane. I soggetti sono singolari, affascinanti, racchiusi in immagini che ci riportano indietro nel tempo perché lontane dall'atmosfera frenetica delle metropoli.
Osservando attentamente le fotografie emerge una donna vivace, vitale, di grande femminilità e che si accompagna ad un modo personale di affrontare la vita. Un modo singolare di essere donna, femminile, di grande forza interiore e di profonda spiritualità.
“Daughters of the King” è il prodotto di un lavoro lungo e impegnativo che ha avuto inizio nel 2010 e che si è sviluppato nel tempo, impegni di lavoro permettendo. Un percorso esplorativo testimoniato da bellissime fotografie scattate percorrendo i continenti attraverso un viaggio che ha toccato New York, Parigi, Israele, Marocco e Tunisia. Una serie di suggestivi scatti fotografici in bianco e nero, in cui l'immagine emerge nitida allo sfondo scuro.
Una frase emerge dal muro bianco, parole emblematiche che spiegato il significato di questo interessante lavoro. La frase cita testualmente : “L'orgoglio di una Figlia di Dio si annida nelle più segrete venature della sua anima”. Federica è emozionata e risponde calorosamente ai saluti e ai complimenti di amici e parenti presenti alla serata, ma nonostante sia molto impegnata, gentilmente ci concede un'intervista.

Domanda: Il tuo lavoro ha comportato un processo di elaborazione molto lungo. Se non sbaglio sono occorsi 4 anni di lavoro. Si tratta quindi di un lavoro impegnativo. Quale è stato il punto di partenza? E soprattutto quale è stato il tuo approccio alle comunità che hai fotografato?

Risposta: Diciamo che gli ebrei ortodossi li ho sotto casa. Io vivo a Brooklyn. L'ispirazione è nata dal vederli tutti i giorni. Ogni giorno mi veniva proprio voglia di fare una foto perché osservandoli mi sembrava di ritornare nel passato. Non vedevo l'ora di vederne un altro per osservare come si era vestito. E poi il fatto delle donne perché io sono una donna e sono un' ebrea. Nei libri che leggevo da bambina si parlava sempre di uomini con i cappelli e i caftani neri. Ma fammi vedere le donne, che cosa hanno le donne in più o in meno? Come sono vestite? Come si acconciano i capelli? Perché hanno questo loro modo di camminare? E così sono partita. Ho cominciato a scattare nel 2010 e dopo 4 anni sono arrivata qui. Sono passata per Israele, per Parigi, per il Marocco, per la Tunisia, ma non ho scattato tutti i giorni. Nel frattempo ho lavorato, ho pubblicato per qualche giornale. Questa è la prima mostra, il mio primo libro e sono molto emozionata.

Domanda: Hai trovato dei punti in comune tra tutte queste comunità che hai osservato e che hai immortalato con la tua macchina fotografica?
Risposta: Il punto in comune è racchiuso in quella frase scritta sul muro. La bellezza di una Figlia di Dio, il suo orgoglio, risiede in se stessa. Sebbene gli scatti esteriori colgano la loro fisicità, la loro bellezza fisica, queste donne sono anche molto spirituali, molto profonde, molto sexy, molto donne.

Domanda: E quale è la differenza che hai colto rispetto a noi occidentali? Soprattutto andando a Gerusalemme, in Tunisia, in Marocco, in questi posti dove la donna è un po' sacrificata. Almeno questa è l'immagine che ci viene solitamente trasmessa.
Risposta: Non sono d'accordo, e comunque questo in tutti i casi ho cercato di non farlo apparire, perché non lo è. Dipende dalla comunità a cui appartengono, dipende dal tipo di setta, dal tipo di persona. Ognuno ha il suo modo di vivere. Rispetto alle donne del maghreb arabo e ebraico che ho visitato questa estate, le ebree che ho conosciuto e che ho fotografato non hanno niente a che fare. Sono molto più libere. Possono fare molte più cose. A me non piace neanche mettere in luce questa cosa perché è la loro vita. Noi la vediamo da fuori. Come possiamo giudicarla? E' talmente diversa dalla nostra. E' un'altra cultura, un altro modo di essere ebreo, molto incentrato sulle regole. Queste sono le regole, tu le rispetti, che siano giuste o sbagliate. Poi però ci sono tante di queste donne che hanno spaziato, che hanno detto sì, io le rispetto, ma le rispetto a mio modo. E questa è la bellezza delle varie sfumature, il modo in cui hanno rispettato o non rispettato le regole.

Domanda: In una tua intervista hai dichiarato che hai voluto percorrere questo viaggio per riscoprire la tua fede?
Risposta: Non la mi fede, ma la mia identità.

Domanda: Ti senti quindi arricchita da questa esperienza e in che cosa?
Risposta: Mi sento arricchitissima perché ho dato un poco più di spessore a tante cose che magari uno quando nasce non dà. Io sono nata da una madre non ebrea e convertita alla nascita, ho avuto un'infarinatura alla religione ebraica dai nonni, dagli zii, dalle persone intorno a me però non sono andata a scuola ebraica, non ho studiato l'ebraico. Ma quando sei a New York sono talmente vicini a te che non puoi non esserne incuriosito. Sono tutti ebrei a New York , anche i non religiosi, molti, da generazione in generazione. Quindi a un certo punto ti fai delle domande. Che cosa significa essere ebreo così o colà? E ti accorgi che ci sono enormi differenze. Volevo capire come si fa a vivere una vita di precetti, che cosa significa. E mi piace, mi piace molto però io non sarò mai così. Io non sono così ortodossa, anzi non sono ortodossa per niente. Potrei aprire un capitolo sul significato di ortodossia Diciamo che c'è la religiosa e l'ortodossa. L'ortodossa riconosce la religione, ma la vive ad un altro livello, deicide di cambiare una regola a suo piacimento. Ad esempio decide che il capello si taglia ma non fino a lì. Ci sono tante sfumature rispetto a queste cose. Mi ha arricchito perché ho ritrovato un significato all'ebraicità. Però mi sono anche molto arrabbiata, ci sono delle cose che non capirò mai, che non mi vanno bene.

Domanda: Quali sono le cose che ti hanno dato fastidio proprio come donna occidentale?
Risposta. Tutti mi volevano far sposare con qualcuno. Questo mi ha dato molto fastidio. Perché nella religione ebraica le donne sono iper femministe. Ma gli rompono le scatole tutti. Come hai 18 anni ti vogliono far sposare. Le donne vogliono sposarsi , è ovvio, ma ci sono anche quelle più moderne che il fidanzato se lo trovano da solo.

Domanda : Tu a Brooklyn appartieni ad una comunità ebraica?
Risposta: No, appartengo solo a me, non mi piace appartenere ad una comunità. Il bello della nostra religione è che ci sei te e Dio.

Domanda: Una domanda sulla tecnica. Complimenti per il lavoro perché il soggetto che emerge dal chiaro scuro ha un forte impatto visivo all'interno di un quadro in cui la composizione degli attori appare perfettamente posizionata. Ma il soggetto nasce da un'idea precostituita o lo scatto fotografico avviene casualmente?
Risposta. No, sono una foto giornalista di nascita. Cammino per strada, vedo, scatto, se c'è una persona che proprio mi piace la seguo per chilometri, poi ad un certo punto la placco. Ma se gli dico che voglio farle una foto, questa viene una schifezza. Perché gli fai una foto e lei si mette subito in posa e perciò perde tutta la naturalezza.
La sposa che tutti pensate sia in posa non è in posa per niente. Lei è un' isterica, sta per sposarsi, non trova le calze. Mentre sta andando a cercare le calze in una stanza si spruzza il profumo. Riesce a trovarle un paio nella valigia di una sua sorella venuta da Israele per il matrimonio.

Domanda: Quindi è tutto casuale?
Risposta: Quasi tutto.

Domanda : Visto che in alcuni scatti il soggetto emerge dal chiaro scuro in piena luce come se uscisse dalle tenebre, un effetto che mi ha molto colpito, mi domandavo come sei riuscita a creare questo gioco di luci ?
Risposta: Perché ho un flash in mano. Io vado per strada con il mio flash, con la mia macchina sperando di trovare dei soggetti interessanti.

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