(testo e foto Rosa Orsini)
Giunge a conclusione il 25 maggio la mostra dedicata ad Auguste Rodin (Parigi 1840 – Meudon 1917). Allestita nelle monumentali Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma, la mostra promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e dal Musée Rodin di Parigi, curata da Aline Magnien, conservatore capo del patrimonio del Musée Rodin di Parigi, si presenta come una delle rassegne più rappresentative dell'opera del grande scultore francese con le sue 60 sculture esposte.
Attraverso il percorso abbiamo avuto modo di apprendere le varie fasi della vita artistica di Rodin, dal periodo iniziale che vede mettere in atto una serie di lavori di fattura neoclassica, al passaggio ad una elaborazione personale ed innovativa della plasticità della scultura che approda al concetto del non finito tanto caro a Michelangelo, al quale Rodin guarda con grande interesse. Alla base del lavoro vi è il recupero della tradizione che conduce all’affermazione di una nuova idea di scultura. Le figure concernano prevalentemente una serie nudi in cui l'eros funge da idea predominante, rievocano gli antichi miti, Apollo e Dafne, Icaro, l'Aurora, oggi più che mai protagonisti come in passato. La scelta del marmo è ponderata. Il marmo evoca il passato e i grandi scultori e benché la sua consistenza sia dura e fredda è il più adatto a rappresentare il corpo umano, il movimento, la figura ritorta e pulsante. Questo materiale inoltre permette di giocare con luci e ombre, incavi e sporgenze. Proprio da questa visione di insieme si trova tutta la forza di Rodin e della sua rivoluzione, in opposizione alle tendenze di un neoclassicismo che guardava all'antichità come unica matrice estetica e formale.
Giunge a conclusione il 25 maggio la mostra dedicata ad Auguste Rodin (Parigi 1840 – Meudon 1917). Allestita nelle monumentali Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma, la mostra promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e dal Musée Rodin di Parigi, curata da Aline Magnien, conservatore capo del patrimonio del Musée Rodin di Parigi, si presenta come una delle rassegne più rappresentative dell'opera del grande scultore francese con le sue 60 sculture esposte.
Attraverso il percorso abbiamo avuto modo di apprendere le varie fasi della vita artistica di Rodin, dal periodo iniziale che vede mettere in atto una serie di lavori di fattura neoclassica, al passaggio ad una elaborazione personale ed innovativa della plasticità della scultura che approda al concetto del non finito tanto caro a Michelangelo, al quale Rodin guarda con grande interesse. Alla base del lavoro vi è il recupero della tradizione che conduce all’affermazione di una nuova idea di scultura. Le figure concernano prevalentemente una serie nudi in cui l'eros funge da idea predominante, rievocano gli antichi miti, Apollo e Dafne, Icaro, l'Aurora, oggi più che mai protagonisti come in passato. La scelta del marmo è ponderata. Il marmo evoca il passato e i grandi scultori e benché la sua consistenza sia dura e fredda è il più adatto a rappresentare il corpo umano, il movimento, la figura ritorta e pulsante. Questo materiale inoltre permette di giocare con luci e ombre, incavi e sporgenze. Proprio da questa visione di insieme si trova tutta la forza di Rodin e della sua rivoluzione, in opposizione alle tendenze di un neoclassicismo che guardava all'antichità come unica matrice estetica e formale.
La
mostra si apre con l'opera per eccellenza, il bacio, Paolo e
Francesca, i due adulteri citati da Dante nel V canto dell'inferno.
Imponente e seduttiva, la scultura domina dall'alto l'accesso
all'aula. Osservando il gruppo marmoreo emerge una sensibilità del
tutto nuova rispetto all'epoca in cui venne realizzata. La materia
ricrea la sensualità e il nudo si espone con una carica erotica
fortemente innovativa. E' impressionante la mole dell'opera tanto da
rimanerne attratti, malgrado ci si allontani per osservare le decine
di sculture posate sui banchi. Emerge il connubio tra l'immaginario
di Rodin e l'influenza del genio michelangiolesco, un'alchimia che si
esprime nella visione e manipolazione della materia, plasmata
dall'abile mano dello scultore capace di estrarre dai blocchi di
marmo l'essenza vitale delle figure rendendole vive e palpitanti.
Rodin guardava alle opere michelangiolesche prendendo spunto
soprattutto dai volumi e dalle forme che risaltavano nella cappella
Sistina, in quel grande affresco che rappresenta il Giudizio
universale che lo affascinò dal primo istante in cui lo vide. Rodin
gioca quindi con le dimensioni della massa, con i volumi, e questa
caratteristica si ritroverà anche nei lavori successivi, tanto ché
a partire dal 1894 ricorrerà a uno specialista di ingrandimenti,
Henri Lebossé, che lo aiuterà a cambiare la scala del suo lavoro.
Rodin non riscosse inizialmente il consenso delle accademie ma ciò non stupisce. Sembra essere destino comune ai grandi geni, dell'arte come della scienza, subire la critica disfattista. Ma come è giusto che sia ebbe modo e tempo per far apprezzare la sua arte tant'è che oggi le sue sculture sono custodite a Parigi in un museo che porta il suo nome. L'homme au nez cassé, il ritratto di Michelangelo, un omaggio quindi al grande artista da cui prende ispirazione, venne addirittura rifiutato dal Salon parigino del 1864. Questo busto apre il percorso della mostra che racchiude la prima fase della vita artistica di Rodin, ed è seguito da altre sculture realizzate in quello stile neoclassico tanto in voga nella seconda metà dell'800 in Francia. Si tratta di busti di donne eleganti, di filosofi oppure di soggetti mitologici, come il busto di Diana. Qui la lavorazione del marmo crea un effetto illusionistico mediante un’attenzione per il particolare, destinata in seguito a sparire, che cerca di riprodurre l’aspetto della carne, del tessuto degli abiti o dei fiori ornamentali.
Rodin non riscosse inizialmente il consenso delle accademie ma ciò non stupisce. Sembra essere destino comune ai grandi geni, dell'arte come della scienza, subire la critica disfattista. Ma come è giusto che sia ebbe modo e tempo per far apprezzare la sua arte tant'è che oggi le sue sculture sono custodite a Parigi in un museo che porta il suo nome. L'homme au nez cassé, il ritratto di Michelangelo, un omaggio quindi al grande artista da cui prende ispirazione, venne addirittura rifiutato dal Salon parigino del 1864. Questo busto apre il percorso della mostra che racchiude la prima fase della vita artistica di Rodin, ed è seguito da altre sculture realizzate in quello stile neoclassico tanto in voga nella seconda metà dell'800 in Francia. Si tratta di busti di donne eleganti, di filosofi oppure di soggetti mitologici, come il busto di Diana. Qui la lavorazione del marmo crea un effetto illusionistico mediante un’attenzione per il particolare, destinata in seguito a sparire, che cerca di riprodurre l’aspetto della carne, del tessuto degli abiti o dei fiori ornamentali.
Di
tutt'altra matrice le opere successive dove l'impronta personale di
Rodin affiora in piena luce, con una serie di sculture che segnano la
crescita del genio. Rodin può essere considerato al pari di un
pittore prestato alla scultura poiché i suoi marmi creano singolari
quadri pittorici osservabili da varie angolazioni. Ogni figura ha un
forte impatto espressivo, la donna pesce, l'aurora, Paolo e Francesca
tra le nuvole. Rodin rende omaggio anche alla sua compagna di una
vita, Rose Beuret, realizzando uno splendido busto dove ricrea la
dolcezza dei suoi lineamenti. Sembrano statue di sale, il marmo
grezzo ha un effetto sgranato, fa da cornice alla scultura vera e
propria, levigata, lunare, che emerge dalla materia, come una
madreperla ancorata e protetta dal guscio dell'ostrica.
E
qui iniziamo a parlare del non finito, un concetto ripreso
sempre da Michelangelo. Molte opere creano uno sfondo e si
configurano come una sorta di alto o bassorilievo, la figura scolpita
sembra abbozzata perché non si disgiunge dalla materia informe di
cui rimane parte integrante, cosicché il lavoro appare volutamente
incompiuto. Lo scultore confonde volentieri le tracce e crea confini
non ben definiti tra l’opera e la base marmorea. Col tempo Rodin
accresce il ruolo del non finito come effetto plastico ed
estetico, sottolineando il rifiuto di ogni volontà illusionistica.
Valido esempio i famosi ritratti di Victor Hugo e di Puvis de
Chavannes, dove ogni figura emerge dalla massa grezza che appare in
tutta la sua voluminosità.
Altro
tema ripreso più volte dall'artista sono le mani, enormi,
gigantesche, protese verso l'alto oppure affusolate nell'atto di
stringere, accogliere, nascondere. Come Le mani degli amanti,
o Il segreto. Ma
più di ogni altro vale la pena
ricordare La mano di dio, capolavoro indiscusso perché
concepisce l'assoluto e il momento della creazione. La sua
composizione plastica costringe l'osservatore a girare intorno alla
figura per cogliere la pienezza dell'opera, le mani che reggono la
pietra che racchiude i corpi, un uomo e una donna, Adamo ed Eva,
appena nati dalle mani del creatore. L'opera insieme al bacio è tra
le più rappresentative perché in essa Rodin esprime appieno il suo
genio artistico.
Finalmente
con la mostra personale dell’Alma nel 1900 il plauso della critica,
il successo e la gloria. Le sue opere sono richieste in tutto il
mondo tanto che i suoi collaboratori sono impegnati a riprodurre in
numero considerevole i soggetti per accontentare la crescente
clientela.
Come
vuole la tradizione delle antiche botteghe artigiane del passato vi è
una distinzione netta di competenze tra la gestazione concettuale
del disegno, che appartiene all'artista, e la realizzazione vera e
propria, delegata ai suoi collaboratori, incaricati di riprodurre
l'idea delineata nei bozzetti. Artisti anch'essi di elevato talento,
gli sbozzatori, così chiamati nel gergo artigiano, sono citati nel
percorso espositivo perché hanno contribuito a creare queste opere
di indiscussa bellezza artistica oggi famose in tutto il mondo.
Forse
proprio per mettere in luce l'idea dell'atelier, l'allestimento
rimanda l'idea di un immenso laboratorio, con grandi stanzoni
occupati da lunghe panche di legno sulle quali sono poggiati i
blocchetti di marmo. Immagino gli sbozzatori intenti a scolpire la
pietra grezza, lì, ognuno davanti al proprio lavoro, visionato
dall'occhio vigile del maestro, e un martellare continuo e confuso.
Il tutto immerso nella splendida cornice delle grandi aule delle
terme di Diocleziano, luogo tanto caro a Michelangelo che realizzò
al suo interno il bellissimo chiostro del convento dei certosini.
Tutto torna, quindi, e rimanda al connubio dei due grandi maestri,
eterni ed indimenticabili.
Il “non finito” è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, speculari, inclusivi sono state usate anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Michelangelo nella scultura diede origine al termine, tramite il Vasari. L’Adorazione di Leonardo è un non finito e non un opera incompleta, perché l’autore si ritrasse sul bordo destro (per chi guarda), mentre si dirigeva a Milano. Si rappresentò mentre usciva dal quadro, lasciandolo incompiuto . Cfr. Ebook/book di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.
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