martedì 23 settembre 2014

BORN INVISIBLE di Sheila MCKINNON


Il mondo degli invisibili.

 

La fotografa canadese Sheila McKinnon espone al Museo di Roma in Trastevere 50 fotografie e un interessante video in cui  denuncia il problema dell'eguaglianza di genere nei paesi del terzo mondo


MUSEO DI ROMA IN TRASTEVERE
fino al 29 settembre 2014


di Rosa Orsini (blogger)

Sheila McKinnon
Fino al 29 settembre al Museo di Roma in Trastevere è possibile vedere un'interessantissima mostra fotografica realizzata da Sheila McKinnon, fotografa canadese ma naturalizzata in Italia, che pone l'attenzione sull'uguaglianza di genere.
Un problema che attanaglia il mondo contemporaneo senza esclusione di campo. L'obiettivo fissa la sua lente indagatrice sulle giovani donne appartenenti ai paesi del terzo mondo. Sono fotografie dove il colore acceso e la splendore dei volti emerge con forza dirompente, mettendo in primo piano la bellezza dell'innocenza sulla miseria, sulla noncuranza e sull'imperante mancanza di istruzione che negano fin dall'infanzia la prospettiva di una vita dignitosa. Una bellezza che bisognerebbe preservare nel tempo attraverso una politica che insegni alla società il rispetto della donna, concedendole il diritto all'istruzione, pietra basilare per poter ottenere un futuro migliore e scongiurare definitivamente il problema della tratta umana. Questa pratica purtroppo è ancora in uso nei paesi in cui la povertà abissale annienta ogni dignità umana, imprigionandola in una ragnatela di condizionamenti culturali e di tradizioni ancestrali difficili da sradicare.  C'è in atto una grande trasformazione sia nei paesi del terzo del mondo sia nei paesi occidentali, afferma Sheila McKinnon, la quale attraverso le sue immagini apre una finestra su paesi lontani, arretrati, su una realtà di cui a volte ci sentiamo responsabili perché siamo incapaci di migliorarla. La mostra presenta 50 fotografie in formato gigante ed un video esplicativo in lingua inglese. Le immagini sono di forte impatto visivo ed emotivo. La tecnica usata caratterizzata principalmente da immagini incorniciate, segmentate, soggetti ripetuti, sovrapposti, è il frutto di una decisione ben ponderata. Spesso la fotografa utilizza quadrati e rettangoli nella composizione della foto: un modo per sottolineare, separare o proteggere la figura dall'interno. Qualche volta si tratta di immagini composte da diversi scatti della stessa persona dentro un’unica inquadratura. In altre la foto originale è appoggiata su formati più grande della stessa immagine per dare un senso di espansione e di ingrandimento della scena. A volte invece i colori sono invertiti, sbiaditi o cancellati: il nero diventa bianco, il bianco diventa nero, il blu diventa oro e viceversa. In questo modo la fotografa intende indicare che l’esteriore è variabile, non è dato fisso, e in tutti casi, è di minore importanza. “Un viso con la pelle schiarita significa per me che sto fotografando il cuore, i desideri, il mondo dei sogni e le intenzioni. Tutti fattori che bisogna riconoscere”.
Sierra Leone - Red Umbrella
La varietà della tecnica usata nella stampa delle immagini è di grande importanza per sottolineare il messaggio che la fotografa ci vuole comunicare: “il tempo sequenziale non esiste o non conta, conta invece l'emozione.” Con le sue immagini Sheila McKinnon ha cercato di rendere visibili le trasformazioni, i cambiamenti e le sfumature delle emozioni dell'anima.
Per tale motivo ha fotografato i soggetti nel bel mezzo dell’azione o durante una breve pausa nel corso della loro vita quotidiana, riuscendo a comunicare attraverso un dialogo non verbale, stimolato da una grande curiosità reciproca.
La mostra è raccontata in un libro edito dalla Gangemi Editore. Un prodotto di cui la fotografa va fiera, soddisfatta del lavoro editoriale e della stampa fotografica, realizzata dalla Graphicolor di Roma che ha saputo eseguire a pieno l'idea d'insieme del progetto fotografico.
In occasione della Giornata Europea del Patrimonio ho avuto modo di incontrare Sheila McKinnon nelle sale interne del museo. Mi ha concesso gentilmente una piccola intervista con la quale racconta il suo bellissimo lavoro. E soprattutto spiega la ragione per cui ha scelto di presentare queste immagini in varie maniere tutte completamente diverse dall’usuale.
D: Come è stato l'approccio al lavoro, a questa realtà, soprattutto dal punto di vista emotivo?
R: Racconterò quello che ho detto alla presentazione del libro. Quando vedevo qualcuno che volevo fotografare, iniziavo facendo un paio di scatti, da lontano. Poi piano piano mi avvicinavo a queste persone ma con molta attenzione. E fotografavo solo chi voleva essere fotografato. Perché quando si cerca di fotografare l'altra persona suo malgrado il risultato è deludente. La foto viene sempre male, almeno dal mio punto di vista. perché mette a disagio l'altro. Non racconta la vita vera, racconta lei o lui che sfugge dallo sguardo del fotografo. E' importante che l'altro accetti o che sia favorevole. I bambini sono sempre favorevoli, le donne qualche volta. Dipende se sono da sole. Le donne mussulmane spesso accompagnate da uomini non vogliono essere fotografate.

D: Questi bambini hanno sempre il sorriso sulle labbra. Per loro quindi è sempre un gioco essere fotografati?
R: Qualche volta, non sempre. Tutti nascono con un certo grado di ottimismo. Questi sono adolescenti, non si rendono conto della realtà. Il discorso riguarda soprattutto le giovani donne e la lotta per cambiare la situazione in cui vivono. Le donne possono iniziare questo cammino dal momento in cui possono andare e restare a scuola, perché l'istruzione è alla base di tutto. Soltanto se hanno accesso all'educazione possono sperare di cambiare il loro destino. Qualche anno fa ho parlato con il Ministro della Salute del Sud Sudan il quale mi ha detto che dopo trent'anni di guerra non c'è educazione. I genitori non ne capivano l'importanza e volevano soltanto vendere una figlia per una vacca. Anche se lui cercava di far capire loro che se restavano a scuola le ragazze avrebbe potuto procurare alla loro famiglia molte più vacche negli anni a venire. E piano piano forse sarà anche riuscito a far capire quanto la lotta per l'educazione sia importante in questi paesi. Purtroppo il discorso di genere non è risolto neanche nei paesi occidentali anche se le donne possono andare a scuola, studiare, prendere un dottorato, lavorare in quasi tutti i campi possibili. Nell'ambiente familiare, nel dialogo tra marito e moglie, se la moglie ha un punto di vista diverso, l'uomo oltre i quarant'anni, diciamo l'uomo fissato alla cultura di una volta, non accetta che lei possa avere ragione e che ci possano essere due punti di vista diversi, che si possa dialogare e confrontarsi. Come ha detto un famoso psichiatra, Marco Canavicci, tutto ciò crea molta difficoltà all'interno della famiglia e un enorme problema di rispetto.
Vietnam - Blue girl

D: Forse perché in fondo è difficile far cambiare la mentalità alle persone.
R: Ecco, è tutto lì. Devono crescere i più giovani, e sarà tutta un'altra cosa.

D: Personalmente ho sempre pensato che se la donna comincia a capire realmente quali sono i suoi diritti può insegnare ai propri figli ad essere migliori e creare una società diversa.
R: La donna deve insegnare ai propri figli, maschi e femmine, il rispetto e l’eguaglianza. E questo comincia ora con le giovani donne che sono coscienti del problema. Sono loro che devono insegnare ai loro figli un altro modo di pensare e di essere.

D: Questa denuncia sociale lei la fa attraverso le sue fotografie, e noi come paesi occidentali riusciamo a comprenderne il significato e il messaggio, Ma lei riesce anche a portarla direttamente sul territorio? Intendo dire la presentazione che lei ha fatto a Roma è fattibile anche in Sudan o in qualsiasi altro paese, per mostrare loro la realtà in cui vivono, farli rispecchiare e metterli di fronte ai loro problemi, ai loro difetti?
R: Io ho potuto parlare a favore delle giovani donne con la mia macchina fotografica, con le mie immagini. Ma il vero lavoro lo deve fare chi lavora continuamente sul campo. Invece io cerco di portare questi discorsi all'attenzione dell'occidente. Vorrei anche ricordare che il problema di genere non è risolto neanche nei paesi industrializzati anche se ci sono enormi trasformazioni in atto. Tutto sta cambiando, molto velocemente però non è concluso. Secondo una statistica effettuata negli Stati Uniti 20 anni fa le giovani donne appena laureate erano stufe di sentir parlare di questo femminismo, perché lo avevano sentito dalle loro madri, dalle loro nonne. Pensavano che avevano raggiunto lo scopo e quindi non volevano saperne più niente. Ma ora le giovane donne che si scontrano contro i tanti “muri di gomma” sono di nuovo coscienti dell’importanza del femminismo e della strada ancora da percorrere.

D: un discorso chiuso, superato diciamo.
R: Infatti. Invece le donne che si laureano adesso, che desiderano veramente una vita basata sull'eguaglianza, si rendono conto che effettivamente non esiste e quindi sono più attente al problema, per fortuna.
Burkina pails

D: Un'ultima domanda, dal punto di vista della tecnica, a me piace questo suo modo di incorniciare il soggetto come se ci fossero più piani di interpretazione della fotografia. Si tratta di un nuovo approccio all'arte della fotografia?
R: Sì. In effetti ho pensato che per raccontare queste fotografie non era possibile fare le solite foto descrittive di persone e di paesi lontani perché sono state viste e straviste. Belle come sono volevo fare qualcosa di più per attirare l'attenzione dell'osservatore, condurlo dentro l'immagine. Per questo ho utilizzato diversi tipi di tecniche.
Parliamo di questa fotografia, per esempio. (Mi indica una fotografia che riprende una fanciulla con un vestito bianco) Si tratta di una ragazza in Burkina Faso. Mi avevano detto che potevo andare a casa sua. Non si incontrano spesso in molti di questi paesi, camminando per strada, ragazze di quell'età. Vivono nelle loro case dove sono abbastanza protette. Forse di meno in Africa, ma certo nel Medio Oriente sono super protette come se stesse per arrivare chissà quale terribile disgrazia. Perciò sono andata nella casa di questa ragazza. Era vestita con questo abito a festa occidentale. La cosa mi ha sorpreso e ho detto a mia figlia che quel vestito non era proprio adatto. Ma mia figlia mi ha detto: “guarda mamma, vuole essere vestita così, tu la fotografi così.” Allora ho fatto le foto, e ho visto che erano contente. E così ho fatto diverse foto, tante.
Volevo raccontare anche le sfumature delle emozioni, la loro anima, i momenti di apertura, di riservatezza, di esitazione, e anche l'elemento del subconscio. Volevo ricordare all'osservatore che ogni singola persona ha questa ricchezza, questa varietà di emozioni. E per questo ho creato questa foto.

D: Il libro che lei ha presentato, porta lo stesso titolo della mostra“Born Invisible”?
R: “Born Invisible”, edito da Gangemi Editore. Sono bravissimi. E' disponibile sia in cartaceo che in digitale. La stampa è fatta da Graphicolor, qui a Roma. Anche loro bravissimi. Faccio sempre molte prove con loro, in formato piccolo, sul colore, finché il risultato non rispecchia completamente la mia idea, ciò che voglio esprimere. E alla fine faccio la stampa in formato grande.
D: Il libro è corredato di fotografie ma anche da una piccola spiegazione, da delle didascalie che raccontano le varie fotografie.
R: Sì, ci sono due testi che raccontano tutto ciò di cui ho parlato, tra cui una prefazione di Victoria Ericks. Ci sono delle didascalie lunghe che parlano anche di quello che ho potuto vedere sulla tratta degli schiavi, sulle prostitute. Lungo per modo dire, diciamo, sufficiente per raccontare. Io penso veramente che i testi arricchiscono molto spiegando in maniera esauriente quello che cercavo di fare. parlato.

Sheila McKinnon è nata in Canada e vive da molti anni in Italia. Ha lavorato come fotografa e giornalista in Africa, Asia, Europa e in Medio Oriente per varie testate europee e nord americane: The New York Times, Newsweek, The International Herald Tribune, The Los Angeles Times, Geo&Geo, Die Welt, Beaux Arts Magazine, Saveur Magazine, The Toronto Globe and Mail, Elle Spain, Elle Hungary oltre che per il Corriere della Sera, La Repubblica, Panorama, Espresso, Il Messaggero, Amica, Oggi, Gente, Sette, Io Donna, D e Grazia. Ha collaborato con varie organizzazioni umanitarie, come l’UNICEF, la FAO, UNFPA, IDLO, La Comunità di Sant’Egidio, Africare, Aidos ed altri.

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