Il mondo degli invisibili.
La fotografa canadese Sheila McKinnon espone al Museo di Roma in Trastevere 50 fotografie e un interessante video in cui denuncia il problema dell'eguaglianza di genere nei paesi del terzo mondo
MUSEO DI ROMA IN TRASTEVERE
fino al 29 settembre 2014
fino al 29 settembre 2014
di Rosa Orsini (blogger)
Sheila McKinnon |
Fino al 29 settembre al
Museo di Roma in Trastevere è possibile vedere un'interessantissima
mostra fotografica realizzata da Sheila McKinnon, fotografa canadese
ma naturalizzata in Italia, che pone l'attenzione sull'uguaglianza di
genere.
Un problema che attanaglia il mondo contemporaneo senza esclusione di campo. L'obiettivo fissa la sua lente indagatrice sulle giovani donne appartenenti ai paesi del terzo mondo. Sono fotografie dove il colore acceso e la splendore dei volti emerge con forza dirompente, mettendo in primo piano la bellezza dell'innocenza sulla miseria, sulla noncuranza e sull'imperante mancanza di istruzione che negano fin dall'infanzia la prospettiva di una vita dignitosa. Una bellezza che bisognerebbe preservare nel tempo attraverso una politica che insegni alla società il rispetto della donna, concedendole il diritto all'istruzione, pietra basilare per poter ottenere un futuro migliore e scongiurare definitivamente il problema della tratta umana. Questa pratica purtroppo è ancora in uso nei paesi in cui la povertà abissale annienta ogni dignità umana, imprigionandola in una ragnatela di condizionamenti culturali e di tradizioni ancestrali difficili da sradicare. C'è in atto una grande trasformazione sia nei paesi del terzo del mondo sia nei paesi occidentali, afferma Sheila McKinnon, la quale attraverso le sue immagini apre una finestra su paesi lontani, arretrati, su una realtà di cui a volte ci sentiamo responsabili perché siamo incapaci di migliorarla. La mostra presenta 50 fotografie in formato gigante ed un video esplicativo in lingua inglese. Le immagini sono di forte impatto visivo ed emotivo. La tecnica usata caratterizzata principalmente da immagini incorniciate, segmentate, soggetti ripetuti, sovrapposti, è il frutto di una decisione ben ponderata. Spesso la fotografa utilizza quadrati e rettangoli nella composizione della foto: un modo per sottolineare, separare o proteggere la figura dall'interno. Qualche volta si tratta di immagini composte da diversi scatti della stessa persona dentro un’unica inquadratura. In altre la foto originale è appoggiata su formati più grande della stessa immagine per dare un senso di espansione e di ingrandimento della scena. A volte invece i colori sono invertiti, sbiaditi o cancellati: il nero diventa bianco, il bianco diventa nero, il blu diventa oro e viceversa. In questo modo la fotografa intende indicare che l’esteriore è variabile, non è dato fisso, e in tutti casi, è di minore importanza. “Un viso con la pelle schiarita significa per me che sto fotografando il cuore, i desideri, il mondo dei sogni e le intenzioni. Tutti fattori che bisogna riconoscere”.
Un problema che attanaglia il mondo contemporaneo senza esclusione di campo. L'obiettivo fissa la sua lente indagatrice sulle giovani donne appartenenti ai paesi del terzo mondo. Sono fotografie dove il colore acceso e la splendore dei volti emerge con forza dirompente, mettendo in primo piano la bellezza dell'innocenza sulla miseria, sulla noncuranza e sull'imperante mancanza di istruzione che negano fin dall'infanzia la prospettiva di una vita dignitosa. Una bellezza che bisognerebbe preservare nel tempo attraverso una politica che insegni alla società il rispetto della donna, concedendole il diritto all'istruzione, pietra basilare per poter ottenere un futuro migliore e scongiurare definitivamente il problema della tratta umana. Questa pratica purtroppo è ancora in uso nei paesi in cui la povertà abissale annienta ogni dignità umana, imprigionandola in una ragnatela di condizionamenti culturali e di tradizioni ancestrali difficili da sradicare. C'è in atto una grande trasformazione sia nei paesi del terzo del mondo sia nei paesi occidentali, afferma Sheila McKinnon, la quale attraverso le sue immagini apre una finestra su paesi lontani, arretrati, su una realtà di cui a volte ci sentiamo responsabili perché siamo incapaci di migliorarla. La mostra presenta 50 fotografie in formato gigante ed un video esplicativo in lingua inglese. Le immagini sono di forte impatto visivo ed emotivo. La tecnica usata caratterizzata principalmente da immagini incorniciate, segmentate, soggetti ripetuti, sovrapposti, è il frutto di una decisione ben ponderata. Spesso la fotografa utilizza quadrati e rettangoli nella composizione della foto: un modo per sottolineare, separare o proteggere la figura dall'interno. Qualche volta si tratta di immagini composte da diversi scatti della stessa persona dentro un’unica inquadratura. In altre la foto originale è appoggiata su formati più grande della stessa immagine per dare un senso di espansione e di ingrandimento della scena. A volte invece i colori sono invertiti, sbiaditi o cancellati: il nero diventa bianco, il bianco diventa nero, il blu diventa oro e viceversa. In questo modo la fotografa intende indicare che l’esteriore è variabile, non è dato fisso, e in tutti casi, è di minore importanza. “Un viso con la pelle schiarita significa per me che sto fotografando il cuore, i desideri, il mondo dei sogni e le intenzioni. Tutti fattori che bisogna riconoscere”.
Sierra Leone - Red Umbrella |
La
varietà della tecnica usata nella stampa delle immagini è di grande
importanza per sottolineare il messaggio che la fotografa ci vuole
comunicare: “il tempo sequenziale non esiste o non conta, conta
invece l'emozione.” Con le sue immagini Sheila McKinnon ha
cercato di rendere visibili le trasformazioni, i cambiamenti e le
sfumature delle emozioni dell'anima.
Per tale motivo ha fotografato i soggetti nel bel mezzo dell’azione
o durante una breve pausa nel corso della loro vita quotidiana,
riuscendo a comunicare attraverso un dialogo non verbale, stimolato
da una grande curiosità reciproca.
La mostra è
raccontata in un libro edito dalla Gangemi Editore. Un prodotto di
cui la fotografa va fiera, soddisfatta del lavoro editoriale e della
stampa fotografica, realizzata dalla Graphicolor
di Roma che ha saputo eseguire a pieno l'idea d'insieme del progetto
fotografico.
In occasione della
Giornata Europea del Patrimonio
ho avuto modo di incontrare Sheila McKinnon nelle sale interne
del museo. Mi ha concesso gentilmente una piccola intervista con la
quale racconta il suo bellissimo lavoro. E soprattutto spiega la
ragione per cui ha scelto di presentare queste immagini in varie
maniere tutte completamente diverse dall’usuale.
D: Come è stato
l'approccio al lavoro, a questa realtà, soprattutto dal punto di
vista emotivo?
R: Racconterò quello che
ho detto alla presentazione del libro. Quando vedevo qualcuno che
volevo fotografare, iniziavo facendo un paio di scatti, da lontano.
Poi piano piano mi avvicinavo a queste persone ma con molta
attenzione. E fotografavo solo
chi voleva essere fotografato. Perché quando si cerca di fotografare
l'altra persona suo malgrado il risultato è deludente. La foto viene
sempre male, almeno dal mio punto di vista. perché mette a disagio
l'altro. Non racconta la vita vera, racconta lei o lui che sfugge
dallo sguardo del fotografo. E' importante che l'altro accetti o che
sia favorevole. I bambini sono sempre favorevoli, le donne qualche
volta. Dipende se sono da sole. Le donne mussulmane spesso
accompagnate da uomini non vogliono essere fotografate.
D:
Questi bambini hanno sempre il sorriso sulle labbra. Per loro quindi
è sempre un gioco essere fotografati?
R: Qualche volta, non
sempre. Tutti nascono con un certo grado di ottimismo. Questi sono
adolescenti, non si rendono conto della realtà. Il discorso riguarda
soprattutto le giovani donne e la lotta per cambiare la situazione in
cui vivono. Le donne possono iniziare questo cammino dal momento in
cui possono andare e restare a scuola, perché l'istruzione è alla
base di tutto. Soltanto se hanno accesso all'educazione possono
sperare di cambiare il loro destino. Qualche anno fa ho parlato con
il Ministro della Salute del Sud Sudan il quale mi ha detto che dopo
trent'anni di guerra non c'è educazione. I genitori non ne capivano
l'importanza e volevano soltanto vendere una figlia per una vacca.
Anche se lui cercava di far capire loro che se restavano a scuola le
ragazze avrebbe potuto procurare alla loro famiglia molte più vacche
negli anni a venire. E piano piano forse sarà anche riuscito a far
capire quanto la lotta per l'educazione sia importante in questi
paesi. Purtroppo il discorso di genere non è risolto neanche nei
paesi occidentali anche se le donne possono andare a scuola,
studiare, prendere un dottorato, lavorare in quasi tutti i campi
possibili. Nell'ambiente familiare, nel dialogo tra marito e
moglie, se la moglie ha un punto di vista diverso, l'uomo oltre i
quarant'anni, diciamo l'uomo fissato alla cultura di una volta, non
accetta che lei possa avere ragione e che ci possano essere due punti
di vista diversi, che si possa dialogare e confrontarsi. Come ha
detto un famoso psichiatra, Marco Canavicci, tutto ciò crea molta
difficoltà all'interno della famiglia e un enorme problema di
rispetto.
Vietnam - Blue girl |
D: Forse perché in
fondo è difficile far cambiare la mentalità alle persone.
R: Ecco, è tutto lì.
Devono crescere i più giovani, e sarà tutta un'altra cosa.
D: Personalmente ho
sempre pensato che se la donna comincia a capire realmente quali sono
i suoi diritti può insegnare ai propri figli ad essere migliori e
creare una società diversa.
R: La donna deve
insegnare ai propri figli, maschi e femmine, il
rispetto e l’eguaglianza.
E questo comincia ora con le giovani donne che sono coscienti del
problema. Sono loro che devono insegnare ai loro figli un altro modo
di pensare e di essere.
D: Questa denuncia
sociale lei la fa attraverso le sue fotografie, e noi come paesi
occidentali riusciamo a comprenderne il significato e il messaggio,
Ma lei riesce anche a portarla direttamente sul territorio? Intendo
dire la presentazione che lei ha fatto a Roma è fattibile anche in
Sudan o in qualsiasi altro paese, per mostrare loro la realtà in cui
vivono, farli rispecchiare e metterli di fronte ai loro problemi, ai
loro difetti?
R: Io ho potuto parlare
a favore delle giovani donne con la mia macchina fotografica,
con le mie immagini. Ma il vero lavoro lo deve fare chi lavora
continuamente sul campo. Invece io cerco di portare questi discorsi
all'attenzione dell'occidente. Vorrei anche ricordare che il problema
di genere non è risolto neanche nei paesi industrializzati anche se
ci sono enormi trasformazioni in atto. Tutto sta cambiando, molto
velocemente però non è concluso. Secondo una statistica effettuata
negli Stati Uniti 20 anni fa le giovani donne appena laureate erano
stufe di sentir parlare di questo femminismo, perché lo avevano
sentito dalle loro madri, dalle loro nonne. Pensavano che avevano
raggiunto lo scopo e quindi non volevano saperne più niente. Ma
ora le giovane donne che si scontrano contro i tanti “muri di
gomma” sono di nuovo coscienti dell’importanza del femminismo e
della strada ancora da percorrere.
D: un discorso chiuso,
superato diciamo.
R: Infatti. Invece le
donne che si laureano adesso, che desiderano veramente una vita
basata sull'eguaglianza, si rendono conto che effettivamente non
esiste e quindi sono più attente al problema, per fortuna.
D: Un'ultima domanda,
dal punto di vista della tecnica, a me piace questo suo modo di
incorniciare il soggetto come se ci fossero più piani di
interpretazione della fotografia. Si tratta di un nuovo approccio
all'arte della fotografia?
R: Sì. In effetti ho
pensato che per raccontare queste fotografie non era possibile fare
le solite foto descrittive di persone e di paesi lontani perché sono
state viste e straviste. Belle come sono volevo fare qualcosa di più
per attirare l'attenzione dell'osservatore, condurlo dentro
l'immagine. Per questo ho utilizzato diversi tipi di tecniche.
Parliamo di questa
fotografia, per esempio. (Mi indica una fotografia che riprende una
fanciulla con un vestito bianco) Si tratta di una ragazza in Burkina
Faso. Mi avevano detto che potevo andare a casa sua. Non si
incontrano spesso in molti di questi paesi, camminando per strada,
ragazze di quell'età. Vivono nelle loro case dove sono abbastanza
protette. Forse di meno in Africa, ma certo nel Medio Oriente sono
super protette come se stesse per arrivare chissà quale terribile
disgrazia. Perciò sono andata nella casa di questa ragazza. Era
vestita con questo abito a festa occidentale. La cosa mi ha sorpreso
e ho detto a mia figlia che quel vestito non era proprio adatto. Ma
mia figlia mi ha detto: “guarda mamma, vuole essere vestita così,
tu la fotografi così.” Allora ho fatto le foto, e ho visto che
erano contente. E così ho fatto diverse foto, tante.
Volevo raccontare anche
le sfumature delle emozioni, la loro anima, i momenti di apertura, di
riservatezza, di esitazione, e anche l'elemento del subconscio.
Volevo ricordare all'osservatore che ogni singola persona ha questa
ricchezza, questa varietà di emozioni. E per questo ho creato questa
foto.
D: Il libro che lei
ha presentato, porta lo stesso titolo della mostra“Born Invisible”?
R: “Born Invisible”,
edito da Gangemi Editore. Sono bravissimi. E' disponibile sia in
cartaceo che in digitale. La stampa è fatta da Graphicolor, qui a
Roma. Anche loro bravissimi. Faccio sempre molte prove con loro, in
formato piccolo, sul colore, finché il risultato non rispecchia
completamente la mia idea, ciò che voglio esprimere. E alla fine
faccio la stampa in formato grande.
D: Il libro è
corredato di fotografie ma anche da una piccola spiegazione, da delle
didascalie che raccontano le varie fotografie.
R: Sì, ci sono due testi
che raccontano tutto ciò di cui ho parlato, tra cui una prefazione
di Victoria Ericks. Ci sono delle
didascalie lunghe che parlano anche di quello che ho potuto vedere
sulla tratta degli schiavi, sulle prostitute. Lungo per modo dire,
diciamo, sufficiente per raccontare. Io penso veramente che i testi
arricchiscono molto spiegando in maniera esauriente quello che
cercavo di fare. parlato.
Sheila McKinnon è nata
in Canada e vive da molti anni in Italia. Ha lavorato come fotografa
e giornalista in Africa, Asia, Europa e in Medio Oriente per varie
testate europee e nord americane: The New York Times, Newsweek,
The International Herald Tribune, The Los Angeles Times, Geo&Geo,
Die Welt, Beaux Arts Magazine, Saveur Magazine, The Toronto Globe and
Mail, Elle Spain, Elle Hungary oltre che per il
Corriere della Sera, La Repubblica, Panorama, Espresso, Il
Messaggero, Amica, Oggi, Gente, Sette, Io Donna, D e Grazia. Ha
collaborato con varie organizzazioni umanitarie, come l’UNICEF, la
FAO, UNFPA, IDLO, La Comunità di Sant’Egidio, Africare, Aidos ed
altri.
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