Fotografie di Malick Sidibé
Il grande fotografo africano, Leone d'Oro alla Biennale d'arte di Venezia nel 2007, testimone del cambiamento di un'epoca. Malick fotografa i giovani maliani durante gli anni dell'indipendenza.
Tra festeggiamenti e balli scopriamo la realtà della società del tempo, aperta all'occidente e al futuro
Galleria del Cembalo
Largo della Fontanella Borghese 19
Roma
Largo della Fontanella Borghese 19
Roma
(testo Rosa Orsini)
Il 26 settembre la Galleria del Cembalo ha aperto la stagione autunnale con una mostra dedicata al fotografo maliano Malick Sidibé. Si tratta di 50 fotografie in bianco e nero appositamente selezionate per questo interessantissimo appuntamento culturale che le vede esposte per la prima volta in Italia.
Una mostra curata da Laura Incardona e Laura Serani,che avrà termine il prossimo 8 novembre. Una retrospettiva che punta lo sguardo sui costumi di una generazione, quella degli anni sessanta e settanta, in uno dei paesi dell'Africa cosiddetta nera, il Mali, e che da spunto a non poche riflessioni. Siamo negli anni cruciali del dopoguerra in cui si assiste ad uno egli eventi più importanti della storia contemporanea: la caduta del colonialismo. Una svolta epocale anche per il popolo maliano che ottiene l'indipendenza dal protettorato francese. Il Principio di Autodeterminazione dei Popoli, sancito dalla Carta dell'ONU, costituisce le fondamenta del ponte di passaggio che ha condotto i popoli all'acquisizione dell'indipendenza dopo anni di sottomissione al dominio straniero. Non soltanto l'Africa ma anche il continente Sud Americano e parte dell'Indonesia sono protagonisti del tramonto di un'era.
Il 26 settembre la Galleria del Cembalo ha aperto la stagione autunnale con una mostra dedicata al fotografo maliano Malick Sidibé. Si tratta di 50 fotografie in bianco e nero appositamente selezionate per questo interessantissimo appuntamento culturale che le vede esposte per la prima volta in Italia.
Una mostra curata da Laura Incardona e Laura Serani,che avrà termine il prossimo 8 novembre. Una retrospettiva che punta lo sguardo sui costumi di una generazione, quella degli anni sessanta e settanta, in uno dei paesi dell'Africa cosiddetta nera, il Mali, e che da spunto a non poche riflessioni. Siamo negli anni cruciali del dopoguerra in cui si assiste ad uno egli eventi più importanti della storia contemporanea: la caduta del colonialismo. Una svolta epocale anche per il popolo maliano che ottiene l'indipendenza dal protettorato francese. Il Principio di Autodeterminazione dei Popoli, sancito dalla Carta dell'ONU, costituisce le fondamenta del ponte di passaggio che ha condotto i popoli all'acquisizione dell'indipendenza dopo anni di sottomissione al dominio straniero. Non soltanto l'Africa ma anche il continente Sud Americano e parte dell'Indonesia sono protagonisti del tramonto di un'era.
Il Mali perviene inoltre
alla costituzione di un nuovo stato. Separandosi dal Sudan raggiunge
finalmente la propria identità politica. Ciò non toglie che il
paese ha ormai assorbito i caratteri e i modelli sociali derivanti
dall'influenza straniera. Si è aperto culturalmente e lo dimostra.
L'indipendenza non sancisce un ritorno ad una società chiusa e
ancestrale, radicata al passato, bensì intende imporre
un'uguaglianza di genere tra i popoli, purtroppo smentita nel tempo.
Sono soprattutto i giovani ad aprirsi all'occidente cercando di
identificarsi con esso. E lo fanno indossando abiti occidentali e
adottando usi e costumi un tempo a loro preclusi.
Malick testimonia questo
cambiamento. Nato a Bamako nel 1936 dove tutt'oggi vive e lavora, ha
modo di ritrarre la sua gente per le strade o durante le feste, anche
se la sua attività si svolge principalmente all'interno del suo
studio fotografico. Scatti in bianco e nero su uno sfondo semplice ed
essenziale. L'artista ritrae gruppi familiari o camerateschi di
ragazzi e ragazze. Volti sorridenti, sguardi aperti, disposti farsi
ritrarre in posa con occhiali polaroid e camicie di cotone bianche.
Testimoni inconsapevoli del cambiamento della società in cui vivono,
si muovono, comunicano, i giovani si fanno fotografare durante le
feste, i matrimoni, nelle serate mondane. Questo clima di festa
inebria il loro spirito e traspare dalle fotografie esposte. Un
aspetto di un paese africano che sorprende, stupisce. Curiosi i
provini contenuti nelle Chemises appese alle pareti della
galleria. Tra questi ci sorprendono quelli scattati in occasione di
un matrimonio celebrato all'occidentale, dove una donna maliana si
mostra vestita con un abito da sposa, lungo e bianco con tanto di
velo. Quanto l'Africa ha assorbito dall'Europa possiamo misurarlo
attraverso queste fotografie. La motocicletta sullo sfondo, i
giradischi, i vestiti da uomo, gli abiti da donna con le gonne a
campana. La moda importata dall'estero cattura il gusto delle nuove
generazioni ma non sostituisce la cultura di un popolo, giustamente.
Malick ritrae anche donne con il classico copricapo a turbante,
vestite con tessuti tipici di stampo etnico.
Malick vuole trasmettere
un messaggio: il Mali non è più un paese arretrato. Il suo intento
è preciso: smuovere il pregiudizio, sostituire l'idea stereotipata
di un popolo primitivo con quella moderna di un paese che guarda al
futuro.
Per Malick la fotografia
ha anche il potere di cogliere la parte più intima del soggetto,
rubargli l'anima, trasporla per poi consegnarla all'eternità. Il suo
potere narrativo completa l'idea fascinosa che fa di questa
professione un'arte, oggi alla portata di chiunque cerchi di
trasmettere la sua immagine ai posteri rincorrendo un'illusoria
immortalità. Nel 2007 Malick ha ottenuto il Leone d'Oro alla
biennale d'arte di Venezia, un premio alla carriera per questo
artista considerato oggi il più grande fotografo africano.
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