mercoledì 28 gennaio 2015

“L'intelligenza dei nodi” di Gualtiero Redivo



dal 24 gennaio al 3 febbraio 2015
Complesso Sant'Andrea al Quirinale
Teatro dei Dioscuri

via Piacenza 1, Roma

(testo Rosa Orsini)

Inaugurata il 24 gennaio al “Teatro dei Dioscuri” a Roma la personale di Gualtiero Redivo intitolata “L'intelligenza dei nodi”. Fino al prossimo 3 febbraio sarà possibile ammirare nel foyer del teatro il lavoro dell'artista ligure: una sequenza di tele dalle diverse tonalità cromatiche, accomunate dalla presenza del nodo come elemento unico ed identificabile, centrato sulla base di supporto. Gualtiero Redivo utilizza il nodo come elemento geometrico per dare volume agli spazi. Ma lo sceglie anche come elemento riconoscitivo della sua grafia, come nota stilistica del suo linguaggio. Dai quadri compositi, realizzati con materiali di vario genere, emergono piccoli o grandi nodi intrecciati, contorti, allentati.
La tecnica si basa nell'amalgamarli con stoffe di vario tipo conferendo un senso di uniformità all'insieme. L'utilizzo infine di lucido da scarpe, pur opacizzando la tela, l'impregna di spessore cromatico, mentre l'applicazione del flatting dona una lucidità tale che produce un effetto marmorizzato capace di ispirare una reazione di carattere tattile. Una tecnica a rilievo dove la profondità è la risultanza visiva finale.
L'intuizione nel riconoscere nel nodo il significato ancestrale che le culture antiche gli hanno attribuito fanno di Gualtiero Redivo un artista concettuale. La contemporaneità della tecnica si sposa quindi con un soggetto di antica matrice che ritrova nelle sue opere il ruolo di protagonista. L'intelligenza dei nodi sottolinea quindi l'intrinseca capacità dialettica che sottintende ai valori profondi che ruotano intorno al concetto di legame, e quindi di relazione intersoggettiva tra gli uomini nonché tra uomo e divinità. Significato in questo contesto trasposto nella società odierna, al fine di confutare i falsi valori alla base della sua vacillante impalcatura. Nel tentativo di ridare dignità all'uomo e risvegliare le menti assopite dai bombardamenti mediatici e dalle tensioni primitive degli assembramenti sportivi, Redivo propone i suoi quadri supportati da messaggi concettuali.
Una celata critica all'attuale produzione artistica, se così si può intendere, carente di quella valenza comunicativa, intrisa di valori concettuali e divulgativi, che ha caratterizzato tutta la pittura dei secoli passati. Redivo vuole colmare quel vuoto ed effettua la compiutezza del dialogo espressivo attraverso l'uso di titoli di per sé non descrittivi e addirittura interscambiabili, capaci di completare l'opera pittorica affiancando alla struttura materica un apporto concettuale, nell'intento di creare un corpus unico.
L'intuizione nei nodi di ritrovare significato ai vari aspetti della società contemporanea è alla base del suo lavoro. L'osservatore è chiamato a riconoscere nell'opera, di per sé alquanto enigmatica, il significato indicato dal titolo, ma non accettandola come verità assoluta bensì come traccia di un sentiero esplorativo. Uno sforzo celebrale voluto proprio per portare l'osservatore a pensare e riconoscere ciò che la società confonde e vela, non per avere risposte ma per suscitare dubbi e domande. Redivo è indubbiamente un artista concettuale, pervenuto dopo un lungo ed articolato percorso artistico ad operare una sintesi che si esprime proprio nella scelta di un simbolo, della metafora come elemento espressivo, ed esprimere la sua personale e costruttiva critica alla società in cui vive rivendicando il diritto al pensiero e all'individuale presenza nel mondo facendo parlare le coscienze.


Domanda: Qual è il tuo percorso nel mondo dell'arte?
Gualtiero: Non ho una formazione di carattere accademico. E a tutt'oggi non ho scelto l'arte come lavoro. Ho iniziato a 17 anni a fare quadri. Dopo i primi passi in ambito figurativo mi sono allineato ai nuovi canoni espressivi che sbocciavano negli anni 60.

D: Sei stato quindi influenzato dai fermenti culturali del tempo?
Gualtiero: Più che influenzato. Il mondo era in fermento e nuove utopie spingevano le giovani generazioni ad essere protagonisti del cambiamento. Feci la prima collettiva al Palazzo delle Esposizioni di via Milano nel 1969. In quell'occasione realizzai due opere, utilizzando mattoni forati tagliati a metà e tessere di legno colorate composte in un mosaico. Le opere furono esposte nelle immediate vicinanze dell’entrata dello spazio. Ricordo che molti visitatori rimanevano sorpresi da tante “stranezze” e qualcuno rideva. Era un periodo di forte trasformazione e la gente non era ancora abituata a confrontarsi con questi nuovi schemi espressivi.

D: La composizione di sé è perfetta. Si vede che l'opera è il risultato di un percorso di ricerca, di uno studio attento della forma e dei materiali.
Gualtiero: Mi sono sempre interessato di pittura con lo sguardo rivolto anche e soprattutto al passato. Ritengo che il retaggio della nostra tradizione mi abbia accompagnato nella ideazione e costruzione di forme e immagini.

D: Ma da tutto questo percorso come sei arrivato a questa sintesi concettuale?
Gualtiero: La sintesi alla quale sono arrivato, al di là della qualità dei risultati ottenuti, deriva dalla consapevolezza che spesso i quadri contemporanei risultano autoreferenziali, decorativi, “muti” avendo smarrito la funzione di raccontare il dramma e la complessità del mondo. Ho cercato, quindi, di far evaporare questa incompiutezza affiancando alle mie opere non simboliche un titolo, non un’inutile e sterile didascalia ma un’espressione del mio vissuto.

D: Potresti spiegarmi il carattere del titolo che collochi sotto ogni quadro?
Gualtiero: Il titolo non è necessario in un quadro non figurativo ma se è presente sollecita un’interpretazione per svelare ciò che apparentemente è assente e trovare una spiegazione che ha un valore culturale. Il compito che assegno al titolo è quello di fornire a chi guarda una sorta di mappa che solleciti la sua immaginazione a scoprire molteplici percorsi di lettura dell’opera. Tutto qui. La visione è un atto irripetibile e colui che osserva “produce” l’immagine che guarda. Ritengo che sotto l’effetto del titolo l’osservatore possa con-fondere elementi formali e concettuali generando una consapevolezza inaspettata, emotiva e intellettuale che diventa esperienza degna di interesse.


D: Tornando al discorso della tecnica, per te la materia è di per sé portatrice o meglio evocatrice di significati?
Gualtiero: Sì certo, viviamo in una società inondata da oggetti da “consumare”. Quindi la materia è sicuramente “manifestazione” della contemporaneità.

D: E quindi diventa simbolo e metafora.
Gualtiero: Diventa simbolo, certo. Del resto già a partire dagli anni '50, l’Informale e più tardi il Nouveau Réalisme in Europa e la Pop Art in America hanno celebrato la materia come protagonista.
R: Riguardo la scelta del nodo come simbolo di questo dialogo espressivo, c'è stata in questo caso un'intuizione in base a degli studi sulle società del passato?
Gualtiero: Il nodo è stato usato in tutte le civiltà e in ogni tempo. Quindi il nodo è un linguaggio universale, una sorta di esperanto. Il “mio” nodo nasce sostanzialmente dalla volontà di individuare un elemento che dando riconoscibilità, possa, deformando la materia, formare lo spazio e dare ritmo alle opere. Infatti il nodo stimola nell’osservatore una reazione empatica, cioè un’azione motoria quale ripetizione istintiva del processo creativo fatto di stiramenti e compressioni, tali da essere avvertiti alla stregua di respiri e pulsioni vitali, configurando lo spazio-tempo.

D: Come nascono le tue opere, da un'intuizione di fronte alla tela, o meglio alla materia, oppure da un'idea che si accende e da cui si sviluppa un progetto?
Gualtiero: Le mie opere nascono semplicemente da una “cosa” particolare che mi colpisce, che reputo accattivante e suggeritrice. Poi applico sottopongo questa “cosa” particolare a un processo seriale di manipolazione, strutturazione e contestualizzazione, fatto da n passi, che termina solo nel momento in cui reputo soddisfacente e elegante il risultato ottenuto.

D: Nel quadro nasce prima il titolo o l'opera?
Gualtiero: I titoli riassumono pensieri che mi appartengono e non mi abbandonano mentre faccio qualcosa, possiamo dire che sottintendono costantemente le mie azioni. Potrei anche cambiare il titolo ad un'opera ma questo non cambia il senso dell'opera. Il titolo è semplicemente un complemento essenziale dell’opera. I titoli non sono arbitrari, fanno parte del modo in cui interpreto la realtà e condensano in poche parole, cioè in formule, concetti. Il titolo non è una spiegazione di ciò che si osserva, non è una verità, ma una occasione di confronto, un interrogativo che deve interagire con i connotati del quadro fornendo spunti significativi, però inosservabili, che mettono in gioco tutta una serie di relazioni intenzionali e casuali, legate al contesto storico e all’appartenenza a una tradizione.

D: Quindi ti riconosci nel ruolo di artista concettuale visto che, nella tua intenzione di comunicare una critica sociale e raccontare la società con un linguaggio diverso, i tuoi concetti trovano spazio nelle tue opere.
Gualtiero: Faccio dei quadri con la presunzione di fare un’operazione culturale. Il titolo, fonde la sfera dell’emozione con la sfera della ragione, non spiega ma suggerisce e inocula il dubbio e esorta al dialogo. L'osservatore deve essere stimolato a interpretare l’artefatto che ha davanti perché ritiene tale esperienza interessante.

D: Porterai in giro per l'Italia questo lavoro?
Gualtiero: Alcuni dei quadri ora in esposizione ai Dioscuri saranno certamente presenti nella prossima personale che terrò a Saluzzo per fine marzo e anche nell’altra personale che terrò nella seconda metà dell’anno a Milano. A fine febbraio andrò in Qatar per realizzare tre opere, su invito di Regency Art, emanazione di una catena internazionale di alberghi.

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