La Galleria del Cembalo espone fino al 28 marzo il bellissimo lavoro di Charles Fréger intitolato "Wilder Mann"
Concentrandosi sul tema del travestimento, il ritrattista francese esplora riti e tradizioni del vecchio continente
Galleria del Cembalo
dal 6 febbraio al 28
marzo 2015
Piazza di Fontanella
Borghese 1 Roma
(testo Rosa Orsini)
In ogni luogo e in ogni
tempo l'uomo ha abbandonato nel corso di cerimonie e riti pagani modi
e costumi civili per adottare bizzarri camuffamenti. Se da noi gli
abiti carnevaleschi sono scelti al fine di sorridere e beffeggiarsi
della realtà che ci circonda, esistono luoghi remoti in cui l'uomo
si ritrova calato al centro di un universo cosmogonico e panteistico
che preserva miti e tradizioni ancestrali, atti ad esorcizzare paure
e riportare alla luce un rapporto sopito e ambiguo con la natura.
Attraverso una ricerca
antropologica che lo ha portato a percorrere in lungo e in largo le
regioni interne dei paesi europei, dove le tradizioni ancestrali
sopravvivono alla globalizzazione, Charles Fréger, fotografo e
ritrattista francese, testimonia con i suoi scatti il perdurante
susseguirsi delle tradizioni nel corso dei secoli fino a giungere ai
giorni nostri. Primitivi culti pagani, agresti, dove il rapporto tra
uomo e natura si trasforma in qualcosa di più profondo fino a
consumarsi in un processo di identificazione.
La mostra esposta alla
Galleria del Cembalo di Roma fino al 28 marzo 2015 propone una lunga
serie di ritratti incentrati sul costume e sul travestimento dove
l'uomo selvaggio, il wilder mann, è protagonista assoluto. Secondo
la leggenda il Wilder mann è il frutto dell'unione tra un orso e una
donna. Ecco quindi che l'uomo si riveste di connotazioni animalesche,
abbandona i tratti e le movenze umane per vestire i panni del mito.
Maschere zoomorfe,
grottesche e inquietanti, personificano il diavolo appropriandosi dei
simboli che lo identificano. Ricorrono temi e soggetti. Pelli d'orso,
uomini impagliati, corna gigantesche sulla testa, una sequenza di
selvagge creature, metà uomo metà bestie. Personificazioni della
natura ma soprattutto figure simboliche, evocatori di miti e riti
antichi che ogni anno vengono celebrati all'interno dei paesi
europei. L'eterna contrapposizione tra il bene e il male viene
identificata attraverso l'uso di maschere e travestimenti assunti per
evocare la paura dei demoni e di ciò che l'uomo primitivo teme e
cerca di esorcizzare.
Le foto affascinano
perché rivelano tradizioni a noi molto lontane se non addirittura
sconosciute. Settanta foto a colori centrate sul soggetto in posa
scattate in tutta Europa sullo sfondo bianco e nevoso dei paesi del
nord, oppure tra i verdi e aridi paesaggi della penisola iberica.
Fréger continua la sua
ricerca cavalcando il tema dell'abito e del costume, anche se i suoi
lavori si incentrano principalmente sul mondo delle uniformi
perseguendo il fine di testimoniare gli aggregati sociali e culturali
e descrivere il modo in cui si identificano. In questo caso esplora
una dimensione diversa, quella del travestimento laddove gli abiti
rivestono un ruolo di primissimo piano assumendo connotazioni
simboliche. Un lavoro che persegue nel tempo, un work in progress che
si realizza nella ricerca infinita di una realtà in cui l'uomo
affonda le sue radici.
La mostra è documentata
da un libro edito da Peliti Associati “Wilder Mann- O la figura del
selvaggio” che raccoglie, accanto alle fotografie esposte nella
galleria, tanti altri ritratti non presenti alla mostra. Mario
Peliti, editore e organizzatore della galleria, aperta in
collaborazione con Paola Stacchini Cavazza, ci racconta come è nata
la scelta di questo importante lavoro inaugurato lo scorso 5
febbraio.
Domanda: Da cosa è
dovuta la scelta di proporre Charles Frèger?
Peliti:
Semplicemente perché lo conoscevo già. Lo avevo già esposto in un
festival che avevamo organizzato in Abruzzo dove avevamo presentato
una serie che raffigurava dei lottatori di sumo. Inoltre come editore
avevo già pubblicato due anni fa un libro dedicato alle divise dei
reggimenti di rappresentanza. Il libro era intitolato Empire nella
versione inglese mentre quella italiana si chiamava Vis
Voluntatis. Questa è' una mostra che ha girato e sta girando
molto nel mondo. Si pensi che Fréger è rappresentato da grandi
galleristi. E quindi lo abbiamo preso anche noi.
Domanda: Queste foto
sono di ultima realizzazione?
Peliti: Non tutte.
Calcoli che Fréger sta ancora proseguendo questo progetto.
All'interno della galleria ci sono dei lavori che sono esposti per
la prima volta ma anche cose che erano già state pubblicate nel
libro di cui le ho parlato. Ad esempio Fréger ha fatto recentemente
dei ritratti in Puglia su dei travestimenti che qui non ci sono,
mentre sono esposte delle cose sarde che erano già state inserite
nel libro. Si tratta sempre e comunque di un work in progress.
Domanda: Il tema del
travestimento è il tema centrale del suo lavoro?
Peliti: Diciamo
che il tema principale dei suoi lavori è quello dell'uniforme. In
questo caso alla base del suo lavoro c'è il travestimento che in
qualche modo è comunque ascrivibile alla riconoscibilità di un
gruppo. Se si pensa alla squadra di calcio l'uniforme è
identificativa di un gruppo. Seguendo questo filo narrativo Fréger
ha fotografato squadre di calcio, balletti e così via. E' un autore
molto interessante per la sua determinazione e il suo il rigore, un
rigore fotografico straordinario a cui si aggiunge una forte capacità
di crescita. Se confronta i lavori vecchi con i nuovi non può non
accorgersi che c'è sempre un processo di evoluzione in corso anche
se gli elementi e la struttura rimangono gli stessi. Questo è ciò
che lo rende assolutamente interessante.
Domanda: Qual 'è il
fine concettuale del suo lavoro?
Peliti: E' un
lavoro che ha una forte componente di documentazione, ma non parlerei
con questo di fine concettuale. E' indubbio che da questo tipo di
lavoro emerge la riscoperta di un mondo che stiamo perdendo. Nella
loro connotazione ancestrale si riscopre comunque parte della nostra
storia e della nostra civiltà. In un mondo in cui tutto è omologato
ci si rende conto che nonostante ci siano elementi comuni, ogni
gruppo mantiene e preserva la sua identità animale e il suo rapporto
con la natura.
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