giovedì 19 febbraio 2015

"Wilder Mann" fotografie di Charles Fréger


La Galleria del Cembalo espone fino al 28 marzo il bellissimo lavoro di Charles Fréger intitolato "Wilder Mann"

Concentrandosi sul tema del travestimento, il ritrattista francese esplora riti e tradizioni del vecchio continente




Galleria del Cembalo
dal 6 febbraio al 28 marzo 2015
Piazza di Fontanella Borghese 1 Roma


(testo Rosa Orsini)
In ogni luogo e in ogni tempo l'uomo ha abbandonato nel corso di cerimonie e riti pagani modi e costumi civili per adottare bizzarri camuffamenti. Se da noi gli abiti carnevaleschi sono scelti al fine di sorridere e beffeggiarsi della realtà che ci circonda, esistono luoghi remoti in cui l'uomo si ritrova calato al centro di un universo cosmogonico e panteistico che preserva miti e tradizioni ancestrali, atti ad esorcizzare paure e riportare alla luce un rapporto sopito e ambiguo con la natura.
Attraverso una ricerca antropologica che lo ha portato a percorrere in lungo e in largo le regioni interne dei paesi europei, dove le tradizioni ancestrali sopravvivono alla globalizzazione, Charles Fréger, fotografo e ritrattista francese, testimonia con i suoi scatti il perdurante susseguirsi delle tradizioni nel corso dei secoli fino a giungere ai giorni nostri. Primitivi culti pagani, agresti, dove il rapporto tra uomo e natura si trasforma in qualcosa di più profondo fino a consumarsi in un processo di identificazione.
La mostra esposta alla Galleria del Cembalo di Roma fino al 28 marzo 2015 propone una lunga serie di ritratti incentrati sul costume e sul travestimento dove l'uomo selvaggio, il wilder mann, è protagonista assoluto. Secondo la leggenda il Wilder mann è il frutto dell'unione tra un orso e una donna. Ecco quindi che l'uomo si riveste di connotazioni animalesche, abbandona i tratti e le movenze umane per vestire i panni del mito.
Maschere zoomorfe, grottesche e inquietanti, personificano il diavolo appropriandosi dei simboli che lo identificano. Ricorrono temi e soggetti. Pelli d'orso, uomini impagliati, corna gigantesche sulla testa, una sequenza di selvagge creature, metà uomo metà bestie. Personificazioni della natura ma soprattutto figure simboliche, evocatori di miti e riti antichi che ogni anno vengono celebrati all'interno dei paesi europei. L'eterna contrapposizione tra il bene e il male viene identificata attraverso l'uso di maschere e travestimenti assunti per evocare la paura dei demoni e di ciò che l'uomo primitivo teme e cerca di esorcizzare.
Le foto affascinano perché rivelano tradizioni a noi molto lontane se non addirittura sconosciute. Settanta foto a colori centrate sul soggetto in posa scattate in tutta Europa sullo sfondo bianco e nevoso dei paesi del nord, oppure tra i verdi e aridi paesaggi della penisola iberica.
Fréger continua la sua ricerca cavalcando il tema dell'abito e del costume, anche se i suoi lavori si incentrano principalmente sul mondo delle uniformi perseguendo il fine di testimoniare gli aggregati sociali e culturali e descrivere il modo in cui si identificano. In questo caso esplora una dimensione diversa, quella del travestimento laddove gli abiti rivestono un ruolo di primissimo piano assumendo connotazioni simboliche. Un lavoro che persegue nel tempo, un work in progress che si realizza nella ricerca infinita di una realtà in cui l'uomo affonda le sue radici.
La mostra è documentata da un libro edito da Peliti Associati “Wilder Mann- O la figura del selvaggio” che raccoglie, accanto alle fotografie esposte nella galleria, tanti altri ritratti non presenti alla mostra. Mario Peliti, editore e organizzatore della galleria, aperta in collaborazione con Paola Stacchini Cavazza, ci racconta come è nata la scelta di questo importante lavoro inaugurato lo scorso 5 febbraio.

Domanda: Da cosa è dovuta la scelta di proporre Charles Frèger?
Peliti: Semplicemente perché lo conoscevo già. Lo avevo già esposto in un festival che avevamo organizzato in Abruzzo dove avevamo presentato una serie che raffigurava dei lottatori di sumo. Inoltre come editore avevo già pubblicato due anni fa un libro dedicato alle divise dei reggimenti di rappresentanza. Il libro era intitolato Empire nella versione inglese mentre quella italiana si chiamava Vis Voluntatis. Questa è' una mostra che ha girato e sta girando molto nel mondo. Si pensi che Fréger è rappresentato da grandi galleristi. E quindi lo abbiamo preso anche noi.
Domanda: Queste foto sono di ultima realizzazione?
Peliti: Non tutte. Calcoli che Fréger sta ancora proseguendo questo progetto. All'interno della galleria ci sono dei lavori che sono esposti per la prima volta ma anche cose che erano già state pubblicate nel libro di cui le ho parlato. Ad esempio Fréger ha fatto recentemente dei ritratti in Puglia su dei travestimenti che qui non ci sono, mentre sono esposte delle cose sarde che erano già state inserite nel libro. Si tratta sempre e comunque di un work in progress.
Domanda: Il tema del travestimento è il tema centrale del suo lavoro?
Peliti: Diciamo che il tema principale dei suoi lavori è quello dell'uniforme. In questo caso alla base del suo lavoro c'è il travestimento che in qualche modo è comunque ascrivibile alla riconoscibilità di un gruppo. Se si pensa alla squadra di calcio l'uniforme è identificativa di un gruppo. Seguendo questo filo narrativo Fréger ha fotografato squadre di calcio, balletti e così via. E' un autore molto interessante per la sua determinazione e il suo il rigore, un rigore fotografico straordinario a cui si aggiunge una forte capacità di crescita. Se confronta i lavori vecchi con i nuovi non può non accorgersi che c'è sempre un processo di evoluzione in corso anche se gli elementi e la struttura rimangono gli stessi. Questo è ciò che lo rende assolutamente interessante.
Domanda: Qual 'è il fine concettuale del suo lavoro?
Peliti: E' un lavoro che ha una forte componente di documentazione, ma non parlerei con questo di fine concettuale. E' indubbio che da questo tipo di lavoro emerge la riscoperta di un mondo che stiamo perdendo. Nella loro connotazione ancestrale si riscopre comunque parte della nostra storia e della nostra civiltà. In un mondo in cui tutto è omologato ci si rende conto che nonostante ci siano elementi comuni, ogni gruppo mantiene e preserva la sua identità animale e il suo rapporto con la natura.

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