Philobiblon
Gallery
Via
Antonio Bertoloni 45 , 00197 Roma
(testo Rosa Orsini)
Pittore, ceramista, grafico ed illustratore, ma soprattutto artista, Mauro Magni si racconta in questa lunga intervista in occasione della mostra presentata alla Philobiblon Gallery di Roma, intitolata “Con i propri occhi”. Un progetto espositivo che coinvolge, seppur in tempi diversi, l'artista ed amico Angelo Colagrossi. Insieme hanno condiviso le fasi preparatorie e l'impegno artistico di quest'atipica e suggestiva bipersonale, curata dalla critica d'arte Sissi Aslan, autrice dei cataloghi insieme ad Alberto Gianquinto.
Pittore, ceramista, grafico ed illustratore, ma soprattutto artista, Mauro Magni si racconta in questa lunga intervista in occasione della mostra presentata alla Philobiblon Gallery di Roma, intitolata “Con i propri occhi”. Un progetto espositivo che coinvolge, seppur in tempi diversi, l'artista ed amico Angelo Colagrossi. Insieme hanno condiviso le fasi preparatorie e l'impegno artistico di quest'atipica e suggestiva bipersonale, curata dalla critica d'arte Sissi Aslan, autrice dei cataloghi insieme ad Alberto Gianquinto.
Nipote del famoso e
compianto regista Luigi Magni, Mauro sembra aver ereditato la grande
e profonda vena artistica di famiglia. Oggi rivendica la purezza
espressiva e il valore estetico della pittura, laddove si riconduce
ad una formazione solida, frutto di studi e sperimentazione. Mauro è
un uomo apparentemente mite, ma nel raccontarsi si dimostra ricco di
una forte carica emotiva e spirituale. Autenticità che riversa nelle
sue tele, dove l'impatto cromatico, proprio in virtù di questo
impeto creativo, cattura per la sua intensità. Definito l'autore
delle montagne, soggetto che per lungo tempo ha caratterizzato i suoi
lavori, testimoniato dagli acronimi e dagli ideogrammi con cui si
firma (lo pseudonimo di magma MAG magni Ma mauro ne è un esempio),
partendo da un'intimistica rappresentazione della realtà, perviene
nel corso della sua carriera ad un'arte concettuale, improntata sui
conflitti laceranti del nostro secolo e simbolizzata dalla Torre di
Babele, che riproduce su quadri con acrilico, collage e a tecnica mista.
La mostra si sviluppa
lungo un percorso visivo in cui si dipana il filo di un narrazione
spirituale, di un viaggio verso la catarsi e la purificazione,
attraverso luoghi onirici e metaforici, nella costante a sottesa
critica alla società contemporanea che tende a soffocare e
distruggere la natura. Le tele e le tavole, supporto preferito
dall'artista, dialogano con le ceramiche smaltate dai colori vivaci
che completano e arricchiscono l'esposizione.
Si tratta prevalentemente
di cicli pittorici che riproducono, oltre alle già citate montagne,
le altezze pericolanti della torre di Babele, presa a simbolo della
nostra società, malata e decadente. Una struttura in bilico, le cui
pareti esterne richiamano elementi decorativi propri
dell'architettura classica e romanica, cui abbina e sovrappone
varianti stilistiche. In alcuni quadri accosta evocazioni visive del
mare, in altre lingue di fuoco che divampano e distruggono, un atto
simbolico della purificazione salvifica.
Ma sopratutto arricchisce
i soggetti con un elemento insolito, ossia i blister delle medicine,
che appaiono come alveari o nicchie di contenimento e sostegno della
struttura. In riferimento alla società contemporanea, profondamente
malata perché violata e danneggiata dall'egoismo distruttivo
dell'uomo, il blister diviene il simbolo della cura, la soluzione
impellente ai malesseri dell'uomo e del mondo. Magni traspone nei
quadri lo spleen, il mal di vivere della nostra era. Reset, Trans, la
serie Torre di Babele sono i titoli dei lavori esposti. Quadri di
medie e grandi dimensioni in cui l'artista inserisce, accanto alla
ripetizione dei soggetti, parole scomposte, preghiere criptate o semi
cancellate, mantra. Un accostamento riflettuto della parola al
disegno, matrice profonda della sua personalità artistica.
Il tema della Babele è
un tema universale che ritorna in tante situazioni e che prende
spunto dalla realtà, dai viaggi nei paesi latinoamericani, dai
bassifondi dei paesi poveri, dalle baraccopoli, dalle migliaia di
guerre che affliggono l'umanità e che minacciano le fondamenta della
nostra società. Ma Magni, lungi dal voler apparire un artista
apocalittico, al culmine del suo percorso spirituale, apre le porte
alla speranza.
Nell'ultimo quadro che
chiude la serie, intitolato Koo-i-Noor, la visione pessimista lascia
il passo ad una via di salvezza, cui si giunge attraverso la
purificazione, l'introspezione spirituale dell'uomo e la
consapevolezza di dover rimediare ai propri errori. Un atto d'amore e
di coraggio, verso se stessi e l'umanità intera.
Domanda: Parliamo di
questo lavoro che oggi esponi alla Philobiblon Galllery di Roma.
Partiamo dalla serie delle montagne, che occupa tutta una parete
della sala principale. L'impatto cromatico è molto forte. C'è una
riproposizione, anche un po' ossessiva, della montagna dovuta
evidentemente ad una scelta di fondo. Un disegno di base su cui
apponi colori diversi. La scelta di colorare il disegno usando colori
caldi o freddi, tonalità chiare o scure, su uno stesso soggetto è
fatta per suscitare emozioni diverse?
Mauro:
Principalmente io non mi pongo il problema di suscitare emozioni
negli altri. O Forse sì, ma in un secondo step. Prima di tutto mi
preoccupo di raccontare me stesso. Se poi questo suscita emozioni
negli altri sono felice. Io considero questi quadri prima di tutto
degli autoritratti emotivi.
D: Come è nato il ciclo
della montagna?
Mauro: La montagna
è diventata il mio nuovo punto di partenza nel momento in cui otto
anni fa ho deciso di lasciare Roma per trasferirmi a Trevignano
Romano.
D: Quindi questo è il
panorama che vedi dalla finestra?
Mauro:
Effettivamente sì, perché ho la fortuna di avere una casa con la
veduta su una collina alta 500 metri, di forma conica e di natura
vulcanica. Mentre dall'altra parte della casa vedo il lago. Ma non
si tratta proprio di una riproduzione
realistica quanto di uno spunto. La forma della montagna,
atavica e primordiale, riporta ad un indagine interiore e psicologica
che ho preso a pretesto.
D: Su uno dei quadri,
Rocca Romana, hai scritto una frase in francese. Per quale motivo?
Mauro: Si tratta
della frase che scrisse Cezanne a proposito della montagna di Saint
Victoire, da lui stesso dipinta. Una sorta di giocoso parallelismo in
cui mi sono sentito un po' Cezanne. Ho riconosciuto in questa
montagna una forma spirituale, una sorta di divinità che mi ha
ricondotto alla pittura. Quindi mi sono concentrato sul valore
psicologico del colore, su quello che poteva dare. La serie è il
racconto di un'interiorità che in questo caso esce fuori in forma di
fotogramma.
Domanda: Il tema della
montagna fa parte di una serie di lavori degli anni passati.
Successivamente da una pittura se vogliamo intimista sei approdato ad
un'arte più concettuale. C'è un messaggio che vuoi comunicare
attraverso i tuoi quadri?
Mauro: In qualche
modo sì. Anche se per certi aspetti non mi ritengono un pittore
concettuale, è pur vero che le mie cose contengono un concetto. Ma
non vorrei però che per certi aspetti i miei lavori diventino
impenetrabili.
Domanda: Come avviene
il passaggio alla torre e alla sua simbologia?
Mauro: Il
primo lavoro che ha avviato il ciclo della torre di Babele si
intitola “Nella confusione di Migdal”. Nome ebraico che si
riferisce a Babele. È stato esposto nel 2012 in una bella mostra
organizzata da Paolo Pancaldi all'ex manicomio di Roma, a Santa Maria
della Pietà. L'esposizione, intitolata Al buio, è stata allestita
nell'ex lavanderia, quindi in uno spazio molto suggestivo, dove sei
tele di sei artisti diversi dialogavano al buio, perché in questo
spazio erano le uniche cose ad essere illuminate. Un bellissimo
progetto che ha coinvolto anche Angelo Colagrossi, amico e collega
che mi ha preceduto in questo progetto alla Philobiblon, Valerio
Berruti, Tommaso Cascella, Bruno Ceccobelli e Pablo Echaurren.
La torre è nata come
conseguenza naturale di una riflessione. E' una Babilonia che
rivendica fortemente una sua identità. Ci sono riferimenti
architettonici che attingono ad elementi classici. Ho disegnato delle
colonne a comporre una sorta di architettura che potrebbe ricordare
il Colosseo. In basso il mare che rimanda al nostro Mediterraneo. Per
me la pittura è soprattutto evocazione. Io non amo il raccontare
didascalico, quanto evocare le cose attraverso delle pennellate.
Alcuni segni fanno parte del mio linguaggio e diventano scrittura,
dei geroglifici che potrebbero in qualche modo ricondurre a varie
culture.
Ma Il mio è anche un
lavoro sulla memoria, sulla sovrapposizione delle culture e delle
esperienze umane. Pelli sovrapposte che completano la vita di ogni
individuo. Ecco perché spesso aggiungo strati sovrapposti di carte
strappate, proprio per ribadire questo concetto.
D: Ad una torre che si
erge verso l'alto accosti due quadri dove la struttura sembra
sciogliersi, come se si stessero disgregando.
Mauro: La
disgregazione è uno degli elementi ricorrenti nei miei lavori.
Tant'è vero che il concetto fondamentale, in questa serie chiamata
Trans, è la trasformazione, ossia il passaggio della natura ad una
condizione di sofferenza, perché violentata dall'intervento
dell'uomo. Nei quadri creo una fusione tra la natura e la torre,
ossia tra la natura e l'intervento dell'uomo, dove ognuno cerca di
sovrastare l'altro.
D: Un'altra
caratteristica dei tuoi lavori è la presenza dei blister delle
medicine.
Mauro: I
blister formano visivamente una sorta di alveare, come fossero
le placche di un restauro di contenimento. C'è un forte messaggio
concettuale: con esso intendo richiamare l'attenzione ad un ipotetico
ed indispensabile rimedio per sostenere la struttura vitale
dell'uomo. E' un elemento che aggiungo anche nelle ceramiche, in oro
o in platino, che fa riferimento alle droghe o alle medicine, che
l'uomo si illude possano essere il sostegno della sua vita.
Domanda: Oltre ai
quadri ci sono anche delle superbe ceramiche, in cui riproduci i
cappelli dei maya, i chantici, che ad un primo sguardo assomigliano a
delle lingue di fuoco.
Mauro: Al di là
dei titoli con cui mi sono divertito a giocare, la ceramica è un
nuovo percorso che ho condiviso con Angelo Colagrossi. Insieme
abbiamo modellato, ognuno perseguendo la propria tematica, la
materia, lavorando a stretto contatto. Abbiamo seguito tutto il
processo di realizzazione delle ceramiche perché rivendichiamo anche
la manualità, e l'artigianalità di quest'arte.
Domanda: Parliamo di
questo quadro con la torre in fiamme intitolato Finis terrae.
Mauro: II fuoco è
un elemento che uso spesso come soggetto, anche senza le torri. Esso
compare nella mia produzione proprio in virtù del concetto che ti ho
esposto prima, ossia la presenza del conflitto tra uomo e natura a
cui si aggiunge il tentativo di sopraffazione dell'uno sull'altro.
Anche qui puoi notare la presenza dei blister sulla montagna, come
per dire che ormai la natura è stata contaminata e sporcata
dall'uomo. Poi però la natura si riprende il suo posto.Il fuoco
rappresenta proprio la rigenerazione della natura. E' un fuoco
trasformatore, che opera una sorta di resettaggio. Il fuoco di De
Lavoisier per cui nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si
trasforma.
Domanda: Passiamo ad
un altro quadro, Koo-i-Noor, una torre bianca su uno sfondo campito
da una preghiera in sanscrito, in contrapposizione ad un quadro nero
campito con una preghiera cristiana, esposto sulla parete opposta.
Mauro: Mi piace
lavorare con queste due tonalità, il bianco e il nero. Mi trovo
assolutamente a mio agio nel farli dialogare, perseguendo il discorso
degli eterni opposti, dei contrasti, dello yin e dello yang. SI
tratta di un mantra in sanscrito, che deriva da un avvicinamento allo
yoga e a tutto ciò che è collegato ad esso. Concettualmente,
l'inserimento dei mantra e di altre scritte nei quadri, vuol
significare che la disfatta umana trova la salvezza solo nella
spiritualizzazione individuale. Questo è uno dei quadri più
positivi e luminosi, non a caso è l'ultimo della serie, importante
per bilanciare un discorso laddove potevo essere interpretato come un
pittore apocalittico. Per questo ho inserito in cima alla torre la
pigna, che secondo la dottrina buddista rappresenta la ghiandola
pineale, definita anche terzo occhio, considerato la chiave di
accesso alla spiritualità e alla connessione con se stessi e con
l'universo,
D: invece nel quadro
nero la contrapposizione è netta, sia per la tonalità sia per la
presenza della preghiera cristiana di papa Francesco, che si cancella
in un ondata di disfacimento. Tant'è che l'invocazione O Dio diventa o
meglio si trasforma nella parola odio, in un gioco di scritte a rilievo.
Mauro: Questo
quadro rappresenta l'antitesi al
bene, all'amore universale. E'
volutamente ispirato alla Palestina, si intitola Marte (Gaza), ed è
nato dall'osservazione dei fatti. Fa parte di una serie di lavori che
ho esposto al Maam. E' gessetto su acrilico nero. La tela sembra una
lavagna. Una scelta voluta perché la riproduzione di un supporto che
la ricordi mi serve concettualmente come riferimento all'insegnamento
scolastico, dove quello che veniva insegnato veniva scritto sulla
lavagna. Da qui il libero arbitrio dell'uomo, la scelta di
cancellare, di non imparare niente, di non far tesoro di alcun
insegnamento.
Domanda: Passiamo ad
un altro quadro, Android's dream dove il colore assume la tonalità
del turchese.
Mauro: Il
titolo di Questo quadro, Android's dream, è un riferimento a
Blade runner, Un film che appartiene alla mia generazione. Il
turchese alleggerisce la tematica. In questo più che in altri
rivendico la mia natura di pittore che si vuole liberare da certe
costrizioni tecniche, pur entrando nel dettaglio di certi particolari
effetti come le screpolature.
Domanda: Concludiamo
questo nostro percorso con due quadri con sfondo nero e gessetto,
carichi di lettere e parole scomposte.
Mauro: Nella
prima opera le lettere sovrimposte, apparentemente senza
significato, sono delle preghiere criptate. E' l'atto di dolore,
dove l'iniziale della parola si ripete a loup. Nei miei quadri
inserisco la nostra l'identità religiosa, se vogliamo anche imposta
dalla nostra cultura. E' un po' provocatorio verso il senso del
pentimento che ci hanno inculcato. Ma c'è una doppia lettura,
L'opera si intitola Reset, a significare che se non vogliamo che la
torre crolli è necessario un resettaggio, che ci fa guardare dentro,
e quindi un pentimento, ma non in senso strettamente religioso. Dopo
di che si giunge ad un percorso spirituale più ampio, rappresentato
dalla ghiandola pineale.
L'altro quadro invece fa
parte del tema babelico della confusione di linguaggi. Qui le scritte
sono di senso compiuto ma laddove sovrapposte finiscono per non far
comprendere più niente. Rappresenta l'eccessivo parlare della nostra
epoca che diventa veramente una Babele, dove regna la confusione e
dove la via di uscita sembra essere sempre più lontana.
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