Spaziocima
via Ombrone 9, Roma
dal 5 al 18 giugno 2015
Silvia Mattioli, cineasta
e videomaker romana, debutta allo Spaziocima di Roma con una mostra
multimediale dedicata a Corviale, il tanto discusso quartiere
dormitorio della capitale, uno dei progetti architettonici più
criticati e fallimentari del dopoguerra italiano.
Silvia ripropone, a
distanza di 15 anni dalla sua realizzazione, un piccolo
cortometraggio in cui performers di strada ed attori professionisti
animano il quartiere popolare.
Immersi nei silenzi contemplativi della volta celeste su cui si staglia l'enorme massa di cemento, gli attori si arrampicano su solidi pali di ferro o su altalene basculanti, catturando immagini, impressioni, emozioni. Ne scaturiscono diversi punti di osservazione, angolazioni, prospettive frammentate, segmenti di spazi di vissuto popolare. Sulle pareti circolari della cavea spiccano i graffiti colorati, isolato e provocatorio tentativo di ridare vita a un luogo senz'anima, avvolto e stritolato dalla grigia noia della periferia.
Immersi nei silenzi contemplativi della volta celeste su cui si staglia l'enorme massa di cemento, gli attori si arrampicano su solidi pali di ferro o su altalene basculanti, catturando immagini, impressioni, emozioni. Ne scaturiscono diversi punti di osservazione, angolazioni, prospettive frammentate, segmenti di spazi di vissuto popolare. Sulle pareti circolari della cavea spiccano i graffiti colorati, isolato e provocatorio tentativo di ridare vita a un luogo senz'anima, avvolto e stritolato dalla grigia noia della periferia.
Nella fase finale di
montaggio l'autrice accosta alla grande e grigia muraglia la realtà
rurale della campagna, con prati e sentieri aperti tra sterpi e
spighe di grano bruciati dal sole. Silvia contrappone le due realtà,
le alterna visivamente. La narrazione bucolica trova spazio tra i
costoni di cemento armato. Ma il centro vitale di questo serpentone
senz'anima è la cavea, moderno emiciclo nel quale avrebbe dovuto
svilupparsi la realtà culturale del quartiere. Qui trova luogo la
componente teatrale, il momento topico di questo piccolo film dalle
atmosfere pasoliniane.
Ispirata alla tragedia di
Eschilo, l'Orestea, e in particolare alle Eumenidi, le
Benevole, Silvia inserisce tra i fotogrammi una performance scenica
dove immagina Atena scendere su Corviale ad assolvere le colpe di
Oreste, l'assassinio del padre Agamennone, e placare la collera
vendicativa delle Furie. Silvia ripropone la sua personale
rivisitazione della tragedia greca e lo fa consapevolmente, non per
emulazione ma per sviluppare un discorso sociale attraverso una
citazione erudita e letteraria.
Un omaggio a Pasolini e
ai brani di Hölderlin,
che Silvia ha profondamente analizzato per risalire al nobile intento
di ricongiungere, in un gioco di ruoli, ciò che la giustizia punisce
ed assolve di fronte al pentimento. Trattasi in questo contesto della
riconciliazione tra uomo e natura, al fine di sbloccare una
situazione di degrado urbano ormai sclerotizzata e riappropriarsi di
quella dimensione rurale che acquieta gli animi.
L'installazione si
arricchisce e si completa con quattro piccoli quadri: si tratta di
fotogrammi estrapolati dal video a cui accosta i loro ingrandimenti.
Lo sviluppo fotografico produce l'effetto sgranato ma suggestivo del
fenomeno ottico del circolo di confusione. Vale a dire che i dettagli
mischiati e confusi dalle migliaia di punti che compongono
l'immagine, così come sono visibili da vicino, appaiono più nitidi
allontanandosi, costringendo l'osservatore a cercare un punto di
osservazione.
Silvia rende quindi
omaggio ai grandi autori del passato ma anche ai maestri del cinema
che l'hanno formata artisticamente come Renato Mambor e João
César Monteiro.
Il teatro, a cui si è accostata fin da giovanissima, è la matrice
del suo essere artista. Da una lunga esperienza che l'ha vista
collaborare con importanti autori e registi, tra cui Mauro Martone,
durante la quale si è occupata di regia teatrale e di messa in
scena, approda al cinema e alle installazioni, nonché alle arti
visive e al video. Autrice teatrale di numerosi spettacoli, Silvia ha
lavorato a La7 e a Rai Cultura. La incontriamo oggi in occasione
dell'inaugurazione della sua personale, punto di partenza di questa
nuova avventura che intende portare anche all'estero per sdoganare un
discorso, quello di Corviale, al di là del cerchio della periferia
urbana.
D: Parlami della tua
idea di testimoniare con un cortometraggio la realtà periferica di
Corviale. Si tratti di una denuncia sul quartiere e sulla
speculazione edilizia?
Silvia. Ti spiego
come è cominciata. 15 anni fa andai diciamo “in pellegrinaggio”
a Corviale, incuriosita dal clamore suscitato dagli articoli di
giornale, soprattutto quelli di denuncia intorno a questo mostro
architettonico. Nella mostra ho esposto alcuni di questi giornali
d'epoca proprio per testimoniare quella fase. Era il 1999. Essendo
una video maker e un'artista, di natura sono curiosa e ho sempre
desiderato conoscere la mia città, non soltanto il centro storico,
ma soprattutto la periferia. Diciamo che sono andata a Corviale per
soddisfare una mia curiosità visiva e non per fare un'analisi dal
punto di vista architettonico. Cosa che non mi appartiene non essendo
io un architetto.
D: Si tratta quindi
una valutazione estetica?
Silvia: Be
sì, anche. Ma sopratutto emozionale. Andai a Corviale e ci tornai
parecchie volte. Durante le mi visite ho scattato foto, raccolto
emozioni. Poi ho scoperto la cavea. Lì mi sono seduta e ho iniziato
a sognare. La visione che ebbi era di Atena che scendeva su Corviale.
Così mi vennero in mente le Eumenidi, ispirata dal mio maestro di
cinema Joao Cesar Monteiro, il grande cineasta portoghese ormai
scomparso, che fece un film scegliendo proprio come personaggio la
dea greca. Nella mostra c'è un omaggio anche alla sua Atena. La
copertina della Rivista portoghese de cinema, quella che vedi
appesa con le mollette sui fili appesi, riproduce un fotogramma del
film di Monteiro, in cui appare la testa di Atena. Ho immaginato che
la dea dovesse fare un discorso alle Eumenidi, così come l'ha
pensato Eschilo, Pasolini nel Pilade, ma inserito in un contesto
moderno come quello di Corviale, che ricorda le ambientazioni
pasoliniane. Così decisi di ritornare con il gruppo teatrale che
avevo allora, il gruppo Ariadne. Siamo stati lì una decina di giorni
durante i quali abbiamo letto i testi di Eschilo, di Pasolini e di
Hölderlin, autori
rivoluzionari per la loro epoca.
D: Trattandosi di un
cortometraggio che hai realizzato anni addietro, come mai lo
riproponi oggi?
Silvia: Diversi
anni fa, quando proposi il mio lavoro ai festival a cui ho
partecipato, presentai solo il cortometraggio e i quattro quadretti
che oggi invece espongo accanto a quelli grandi, che sono i loro
ingrandimenti. Questo perché in quel momento solo quello
rappresentava il mio progetto. Avevo 28 anni e fui molto severa.
Scartai tutto, forse perché i tempi non erano maturi, o forse perché
mi trovavo sempre avanti rispetto a quello che accadeva.
Domanda: Dove lo hai
presentato?
Silvia: Come
dicevo proposi il cortometraggio a dei festival e devo dire che,
tutto sommato, andò abbastanza bene, nonostante si trattasse di un
cortometraggio difficile, non fruibile nel cinema bensì in un
contesto di installazioni multimediale. Lo presentai penso in
tutti i festival che c'erano in Italia. Alla fine lo presero al Lucca
film festival, al Premio Nanni Loy, a Trevignano e infine
a Pescara, al Festival internazionale del cinema indipendente di
Picciano nel 2001, dove ottenne una menzione speciale.
Riguardo ai quattro
quadretti, ci fu un concorso a Roma nel 2007, fatto da Bornia. Si
chiamava Pronto Soccorso Giovani Artisti e coinvolgeva gli
artisti dei municipi di Roma. Io partecipai col mio municipio, allora
il 18mo, oggi è il 13mo. Presentai i quadretti e vinsi come migliore
artista visiva del comune di Roma, nella sezione arti visive. La
cerimonia fu fatta al Macro in via Nizza. Dopo di che cominciai a
lavorare per La7 dove mi occupavo sempre di video, e così accantonai
tutto. A distanza di anni mi sono ritrovata con tutto questo
materiale, così ho deciso di riprenderlo ed ampliarlo.
Domanda: Come
definiresti oggi il tuo lavoro?
Silvia: Adesso te
lo posso dire perché sono passati 15 anni. E' un lavoro sul tempo,
sulla distanza e sul punto di vista, di come poi le cose cambiano se
cambi la posizione, la prospettiva. Oggi quei quadretti sembrano dei
piccoli arazzi anni '70. Sono i 15 anni che gli sono passati sopra,
mentre i quadri grandi, che sono più attuali, li ho messi apposta
per far vedere il tempo che passa.
D: Parliamo delle
immagini. Se da vicino appaiono sgranate, da lontano catturano e
affascinano. Il famoso effetto ottico del circolo di confusione.
Silvia: Si tratta
di un frame, di un fermo immagine. Ho avuto grande difficoltà a
trovare degli stampatori perché nessuno voleva farlo. Dicevano che
non erano immagini di alta qualità. Oggi si preferisce un'immagine
nitida, mentre io cercavo un altro effetto. Quello che appunto si
chiama circolo di confusione, che
costringe l'osservatore ad allontanarsi e cercare un punto di
osservazione. Perché questa è la vita, le cose cambiano
significato dal punto da cui le osservi. L'immagine
non doveva essere di alta qualità. Che senso ha in fondo
l'arte se non quella di rompere gli schemi, di far pensare? Da questo
punto di vista mi senso un po' un'iconoclasta. Per fortuna alla fine
ho trovato chi me le ha stampate.
Domanda: Tu ti
definisci un'artista neorealista?
Silvia: Non
lo so. Per me rappresentare la realtà non vuol dire scattare una
fotografia che riproduce le cose esattamente così come appaiono. Non
mi interessa, e non lo farei mai. Mi interessa guardare la grana, il
ruvido, l'effetto, lo sporco, la smagliatura, la scalfittura, il
difetto, perché tutto ciò rappresenta la vita. A me interessa
quello.
Domanda: Oggi debutti
a Spaziocima, dopo di che porterai in giro questa mostra?
Silvia: Innanzitutto
ci tengo ringraziare Roberta Cima, che mi ha accolto a braccia
aperte, perché ha capito quello che stavo facendo. Non è facile
proporre un lavoro di questo tipo. Inoltre era importante che
io sdoganassi Corviale proprio qui al quartiere Coppedé. Secondo me
bisogna portare fuori questo discorso, andare oltre i confini della
periferia urbana. Ho già fatto nel 2007 una collettiva a Corviale,
con i piccoli quadretti, ma oggi non avrebbe senso riproporla nello
stesso luogo.
Per quanto riguarda il
futuro, mi hanno già invitato ad esporre alla Fondazione Guelfa a
Fabriano, dedicata a un artista di vetrate sacre, e poi in uno spazio
a Vienna di un'artista romana. Intanto ho queste due proposte e sono
contenta della risonanza che ha avuto la mostra. Il mio intento è
quello di portarla in giro perché mi interessa provocare. Solo
attraverso la provocazione c'è la riflessione e il risveglio del
pensiero critico.
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