dal sogno di Napoleone a Canova
La mostra raccoglie le opere recuperate dopo il congresso di Vienna del 1815, e che costituivano gran parte dei capolavori trasferiti in Francia sotto l'impero Napoleonico
Scuderie del Quirinaledal 16 dicembre 2016 al 12 marzo 2017
Lorenzo Monaco |
Il museo universale, il
museo della libertà. È il sogno, in gran parte realizzato, di
Napoleone, di voler confluire nel Louvre i capolavori della storia
dell'arte, e fare di Parigi la capitale moderna della cultura
europea. Progetto che segue le sorti del suo impero, prima
arricchendosi e poi spogliandosi dei suoi più ambiti capolavori,
nell'alternanza della parabola storico e umana del suo artefice.
A cavallo tra la fine del
'700 e l'inizio del '800, l'ambizione napoleonica straripa oltre i
confini geofisici dell'Europa, di cui ridisegna l'assetto
territoriale, raggiungendo le rive del Nilo. La spedizioni
napoleoniche portano alla luce le antiche vestigia egiziane. La
vecchia Europa è fagocitata dalla brama del giovane generale corso,
ma non è solo il potere politico ad alimentarne il fuoco, quanto
l'ampio panorama di ricchezze e bellezze custodite dagli stati rivali
a suscitare la sua cupidigia, tanto da voler affondare le mani, per
sottrarre con l'intento di creare, in linea con il progetto
enciclopedico degli illuministi, un museo universale, concepito per
accogliere il summa dell'arte europea, dall'antichità classica
all'arte moderna. L'impero e quindi la sua capitale Parigi si vuole
fregiare anche del titolo di moderna capitale della cultura, con il
nascente museo del Louvre, ribattezzato prima come Musée Central des
Arts e poi come Musèe Napoléon, di cui ne arricchirà la
collezione, grazie alle spoliazioni di ingenti e preziose collezioni
artistiche da ogni dove, che trovano piena legittimità nei trattati
di pace sottoscritti, in virtù di un diritto acquisito sulla spinta
di nuovi principi ed ideali politici piuttosto che in virtù di una
vera e propria usurpazione.
Ne fanno quindi le spese
i paesi vinti che si vedono costretti a consegnare le loro opere
d'arte all'impero francese. Così come lo Stato Pontificio che in
base al trattato di Tolentino del 1897, che mette fine alla prima
campagna d'Itali,a sarà costretto a consegnare i capolavori della
sua collezione classica, tra cui il Laocoonte e l'Apollo del
Belvedere, e quasi la totalità delle opere di Raffaello.
Durante le campagne
militari francesi, tra il 1796 e il 1814, furono requisite opere a
Roma, Modena, Firenze, Bologna, Parma. Altre opere furono portate da
Venezia, tra dipinti, sculture, volumi e manoscritti anche la celebre
quadriga della basilica di San Marco e il leone marciano. Tutte
cedono “obtorto collo”, per poi vedersi finalmente
riconsegnare nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, una gran parte
del mal tolto, come parte integrante dell'identità nazionale.
Raffaello |
Voltosi al tramonto
l'impero, con la caduta di Napoleone, gli stati dell'Italia centro
settentrionale chiedono la restituzione delle opere. Una richiesta
inizialmente ostacolata dagli stati vincitori ma poi finalmente
appoggiata, soprattutto dall'Inghilterra di Giorgio IV.
Oggi, a distanza di
duecento anni dalla primavera del 1816, anno in cui lo stato
pontificio ottiene con il congresso di Vienna la restituzione dell'80
per cento delle opere trafugate, si rievoca il prestigioso recupero
ad opera del Canova incaricato di trasportarle in Italia, attraverso
una splendida mostra curata da Valter Curzi, Carolina Brook e
Claudio Parisi Presicce, e allestita all'interno delle Scuderie del
Quirinale a Roma. Mostra che raccoglie le opere recuperate
costituendo una gran parte dei capolavori che furono trasferiti in
Francia sotto l'impero Napoleonico.
Come nasce la collezione
del Louvre e quali siano stati i presupposti di una selezione
accurata delle opere lo possiamo apprendere dalle fonti che riportano
la creazione da parte del Direttorio di una commissione di artisti e
scienziati incaricati di operare una scelta dei capolavori da inviare
a Parigi, partendo inizialmente dai fasti di quell'arte classica che
aveva trovato nel '700 una pregevole collocazione nei musei di Roma,
grazie agli studi eruditi del Winckelmann cui si deve la prima
catalogazione. Seguono i modelli artistici di un classicismo che
primeggia nel '500 e che ritrova nella natura fonte di ispirazione
espressiva. L'Italia godeva di un'ottima reputazione che aveva fatto
eco nei secoli. Quale cibo più appetibile per i gusti sofisticati di
questa commissione scientifica, figlia del secolo dei lumi, che
mirava a raccogliere in un unicum tutto il sapere del genere
umano? Si aggiungono le opere della scuola bolognese, dal Carracci al
Correggio, dal Guido Reni al Domenichino, per poi terminare con i
capolavori della scuola Veneta che vedono nel Tiziano, nel Veronese e
nel Tintoretto gli artefici di un colorismo intenso ed espressivo che
sarà spunto creativo di quell'aspetto romantico peculiare alla
moderna pittura francese. In dieci anni il Louvre si arricchisce di
una quantità ingente di quadri, sculture, manoscritti, cui viene
data una collocazione sistematica nelle lunghe gallerie tardo
settecentesche e ottocentesche.
Se
inizialmente non fu data attenzione ai pittori anteriori al
Raffaello perché considerati secondari rispetto ai classicisti, ad
eccezione del Perugino, che essendo stato maestro dell'urbinate e
quindi ritenuto all'origine della scuola pittorica romana del
rinascimento fu degnato ampiamente di una riflessione
storico-artistica, nel 1811 alle opere classiche e a quelle delle
scuole veneta e bolognese si aggiunsero le opere del '300 e del
'400.
Paolo Veronese |
Un'iniziativa voluta e
portata a termine dall'allora direttore generale del Musée Central
des Arts, il conte Dominique Vivant Denon, figura di elevato livello
culturale, incisore, archeologo, erudito e diplomatico, che esercitò
una discreta influenza durante il periodo napoleonico (Fu al seguito
di Napoleone nella campagna in Egitto. riportando in un famoso
scritto le cronache del loro viaggio).
Durante un viaggio in
Italia nel 1811, requisì le opere dei pittori cosiddetti “primitivi”
per ricostruire le origini delle varie scuole italiane, colmando la
lacuna storica prodotta dalla mancanza di opere coeve. Questo
progetto aveva visto la luce diverso tempo addietro, in seguito alle
soppressione delle congregazioni religiose che avevano portato
all'accatastamento di opere dei maestri del quattrocento. Durante la
direzione di Denon quadri di Taddeo Gaddi, Lorenzo Monaco, Benedetto
Gozzoli, ed altri, confluirono nel Musée Napoleon, così
ribattezzato nel 1803, colmando il vuoto di un'epoca. Andavasi così
formando il quadro di questo progetto museale, che ahimè, vuole
rivelarsi al di là delle legittimazioni, il frutto di un bottino di
guerra che gli stati reclamano indietro con la caduta di Napoleone.
Ed è in questo momento che entra in scena Antonio Canova. Lo
scultore veneto, per la grande fama acquisita presso le corti
europee, sembra la figura più accreditata per riportare in Italia i
capolavori dei maestri italiani. Nominato da Papa Pio VII Chiaramonti
commissario straordinario, partì per Parigi nell'agosto 1815,
terminando la sua missione a settembre. A Bologna presenziò
all'apertura delle casse contenenti i dipinti emiliani del Carracci,
di Guido Reni, del Guercino e del Domenichino. che furono esposte nei
locali della chiesa dello Spirito Santo con grande affluenza di
popolo. Le opere romane giungeranno a Roma a gennaio del 1816. Si
chiude il sogno del museo universale nulla togliendo al prestigio del
Louvre e alla sua splendida collezione, meta di turisti da ogni parte
del mondo. Ma il significato della mostra vuole sottolineare come
l'arte sia anche soggetto di identità nazionale prima ancora che
comunitaria, internazionale, ed elemento di riflessione sullo
sviluppo della cultura europea. Attraverso le opere esposte tra cui i
quadri di Raffaello, del Carracci e tanti altri, un'ottima occasione
per ripercorre le tappe di quell'episodio che vide l'arte oggetto di
interesse politico oltre che culturale.
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