Andrea Marcoccia e Gian Paolo Rabito |
STREET VIEW
ANDREA MARCOCCIA – GIAN PAOLO RABITO
SPAZIOCIMA
via Ombrone 9 Roma
dal 5 al 29 novembre 2014
(testo e foto Rosa Orsini)
La mostra, in programmazione fino al prossimo 29 novembre presso Spaziocima a Roma, esplora attraverso i lavori di Andrea Marcoccia e Gian Paolo Rabito le declinazioni artistiche del concetto di spazio urbano.
Dal percorso espositivo, strutturato sul confronto dialettico fra le due diverse identità artistiche, scaturisce una riflessione sulle premesse interpretative e sui modelli di rappresentazione visiva attraverso cui le città, gli agglomerati e le periferie diventano materia di studio antropologico. Una ricerca a volte casuale ma spesso cercata nei substrati sociali e negli agglomerati urbani delle città americane. Lo spunto proviene da un viaggio intrapreso circa due anni addietro dai due giovani artisti negli Stati Uniti. Un'esperienza che hanno condiviso con le loro rispettive mogli e che ha saldato il loro legame di amicizia, nato inizialmente da un rapporto professionale che li ha visti esporre congiuntamente in varie mostre collettive e bipersonali.
Andrea Marcoccia |
Andrea Marcoccia |
Andrea Marcoccia |
Una tecnica personale che ritroviamo in un altro
quadro simile ma distinguibile dalla presenza di un passe-partout
bianco che mette in risalto la tecnica del lavoro. Trattasi anch'esso
di olio su carta ma è l'immagine al centro ad essere protagonista di
un esterno sfocato come se guardato dall'obiettivo di una macchina
fotografica.
Oltre a questi lavori su carta Andrea propone la
serie Construction dove ritrae ad olio le visioni dei
grattacieli ripresi dall'alto, una proiezione aerea di New York che
evidenzia la particolare struttura architettonica della città.
Marcoccia nasce come pittore e come tale predilige il pennello e un
uso morbido e fluido della tecnica ad olio, che sia su carta o su
tela. Ma sperimenta la fotografia come tecnica investigativa spesso
per ricreare i paesaggi che lo hanno colpito riproducendo con la
pittura l'idea d'insieme che fuoriesce dal suo animo creativo. La
serie presenta una sequenza di immagini dove la materia dello spazio
generata dall’originale trasposizione fotografica si trasferisce
attraverso la pittura su un piano puramente personale. Per l'artista
la fotografia diventa un ulteriore linguaggio espressivo. In
occasione della mostra Andrea ha portato alcuni scatti realizzati con
la macchina fotografica e con il cellulare, usando in questo caso
un'applicazione chiamata Instagram. Scenari deserti, frammenti di
vita in cui l'uomo anche se casualmente assente è rappresentato da
ciò che ha creato con il suo ingegno: le costruzioni, i teatri, le
avenues sconfinate. Infine, in un dialogo tra epoche tecnologiche,
una nostalgica polaroid imprime l’immagine di un spaccato sociale
partendo dalla condizione soggettiva e intima dell’artista.
Andrea Marcoccia |
“Nei miei lavori è quasi sempre assente
l'essere umano anche se in realtà si tratta proprio di una ricerca
antropologica sul substrato di vita umana, di vissuto, attraverso uno
studio sulle periferie. Non è stata neanche una ricerca voluta. Ma
neanche così casuale, poiché sono andato a cercare dei posti come
la periferia dove ti scontri con certi tipi di realtà . E' ovvio che
poi il soggetto in se stesso me lo sono trovato davanti
all'improvviso. Perciò ho fatto una serie di scatti. All'interno
di questi scatti poi ci sono dei risultati buoni come quelli che ho
esposto.”
Non
è una fascinazione quella che lo porta a scegliere l'America come
soggetto dei suoi lavori.
“Io sono affascinato un po' dal mondo in
generale e dall'essere umano nel mondo. Quindi dalle società,
insomma dai raggruppamenti sociali. Quello che mi colpisce durante i
miei viaggi è il paesaggio in se stesso. L'America è stato un caso
visto che ci ha unito perché l'abbiamo vissuta insieme come
un'esperienza umana. Un'esperienza che ci ha unito pure dal punto di
vista lavorativo proponendo i nostri lavori in questa mostra.”
Gian Paolo Rabito |
“Questi acquerelli sono su fondo bianco. In realtà sono acrilici trattati come acquerelli. Sono disegni molto luminosi perché ho lavorato in trasparenza sulla carta proprio per accentuare questo effetto. Infatti lasciando il cielo bianco si ottiene un effetto ancora più luminoso.”
Gian Paolo Rabito |
Un ritorno alla tecnica del disegno capace di
riprodurre come un'istantanea l'immagine riflessa nello sguardo del
pittore. Nostalgia per un passato da illustratore cinematografico e
per una tecnica professionale ormai abbandonata a vantaggio dell'era
digitale, della fotografia e del ritocco fotografico. Ma per la
quale, ricorda Rabito, noi eravamo famosi: “Noi eravamo i
maggiori esponenti al mondo, abbiamo avuto qui a Roma il più grande
cartellonista cinematografico mondiale Renato Casaro.... e anche
altri come Enzo Sciotti. Una serie di nomi illustri della
cinematografia a livello mondiale. Eravamo leader assoluti. Quindi io
sono cresciuto con queste immagini... Purtroppo si è persa tutta la
parte illustrativa che invece secondo me era fondamentale. Eravamo
arrivati a dei livelli di tecnica eccezionali.”
Gian Paolo Rabito |
La sua mano è
riconoscibile anche quando cerca attraverso l'uso dei colori ad olio
di ricreare un effetto anticato del soggetto riprodotto. Un'immagine
suggestiva di Castel Sant'Angelo, gigantesca e imponente su una
parete di sfondo della galleria, ne è la prova.
“Ho voluto fare questi lavori acrilici su
carta per ritornare al disegno. Un attenzione al disegno che si è un
po' persa nel tempo. Perché adesso quando si parla di pittura si
parla solo di pittura a olio che se vuoi è una tecnica molto
semplice perché si può intervenire per correggere, ritoccare e
ritoccare e andare avanti fino a che non si arriva al risultato
finale.. La difficoltà della tecnica che ho utilizzato e la bellezza
dell'effetto che ne risulta è dovuto invece al fatto che il colore
deve essere dato esclusivamente in un dato modo e non puoi
intervenirci sopra. Su una tecnica acquarellata così non hai alcun
margine di errore.”
Gian Paolo Rabito |
Il percorso espositivo si articola tra le varie
opere, alternando i diversi registri interpretativi. Da immagini
cristallizzate dall'obiettivo di una polaroid, il processo creativo
si traduce in pittura e in disegno acquarellato. L'equilibrata
interazione dei lavori negli spazi interni della galleria ha il
potere di trasferire al pubblico le suggestioni di un viaggio
virtuale, frutto di questa elaborata ricerca dove la personale
immersione in una dimensione spazio-temporale della realtà americana
è rielaborata dall'abilità tecnica e dalla sensibilità artistica
dei due protagonisti.
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